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Entourage, il commento all’8^ e ultima stagione

Pubblicato il 12 agosto 2013 di emanuele.r

Dopo 8 annate, Entourage le vicende comiche e buffonesche di Vincent Chase e compagni chiudono i battenti: l’Italia se n’è accorta con un paio d’anni di ritardo, mentre in USA si parla di un film, e grazie a Rai4 che ha recuperato la serie dai magazzini Sky, mandandola in onda però in modo del tutto discutibile, tutti i giorni nel giro di nemmeno 2 settimane. E’ un peccato che è comunque coerente al modo in cui l’interessante comedy HBO è stata sempre trattata dai nostri palinsesti.
L’8^ e ultima stagione della serie parte con Vince di ritorno dalla riabilitazione e dei suoi progetti di rilancio, tra cui un film sui minatori e il supporto al fratello Johnny, attore sul viale del tramonto, con una sceneggiatura scritta da lui.

Il creatore Doug Ellin, che scrive première e finale dirigendone la prima, dopo aver raccontato i percorsi e i paradossi professionali di Hollywood si concentra a raccontare i percorsi personali di chi fa parte della Mecca del cinema, di chi cerca di non farsi sopraffare dallo schiacciasassi dell’industria dei sogni.
Le storyline dei singoli personaggi, Vincent e il suo agente Ari Gold in primis – che ha anche fare con una separazione dalla moglie che reputa insopportabile -, vertono quasi tutte sulla costruzione di una vita privata e sentimentale fuori da quella professionale ormai avviata per tutti: il lavoro su stessi e il cambio di prospettive di Vince porta a una sua (ri)costruzione come uomo, Eric deve capire come proseguire la sua storia con Sloan e di Ari abbiamo già detto. Il mondo di Hollywood resta soprattutto in Drama, nel suo tentativo di rilanciarsi da un cartone animato – Johnny Bananas – non particolarmente appagante.

Come l’ultima stagione di Sex & the City, la chiusura di Entourage segue un po’ la strada di declinare elementi da racconto sentimentale, per non dire soap opera, con lo stile caustico e “informale” della serie, le battute sessuali e i pasticci tra maschi: la sfida è più rischiosa perché gli elementi da mescolare sono più distanti, ma nonostante tutto può dirsi vinta. Il ritmo, l’ironia, la piacevolezza degli script non mancano e se qualche personaggio prende chine discutibili e il finale fa storcere un po’ il naso, l’intrattenimento è assicurato. Come la pioggia di guest star in ruoli più o meno azzeccati e la bravura di Jeremy Piven in quello che è il cuore della serie, il sempreverde Ari Gold.

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