Yeah Baby. I’m moving in slow motion and there’s an explosion behind me!
SOTTOTITOLO: PERCHÉ PAIN & GAIN POTREBBE ESSERE IL MIGLIOR FILM DI MICHAEL BAY, MA ANCHE NO.
Michael Bay è un autore? Non lo so, chiedo. Proviamo a prenderla più alla lontana, e alziamo la posta in gioco con un’altra domanda: come si riconosce un autore all’interno del vasto panorama cinematografico contemporaneo? Io sono sempre stato del parere che un autore, per definirsi tale, deve portare avanti nel corso della sua carriera un personale pensiero e deve avere uno stile riconoscibile, che lasci pochissimo spazio a dubbi. Insomma, nel momento in cui ti trovi a fare zapping e ti imbatti in un film già cominciato ci deve essere qualcosa che ti spinga a pensare “Ma chi è il regista, Tizio?”.
Con Michael Bay la cosa potrebbe benissimo succedere perché solo lui ha il pregio (o il difetto) di girare scene d’azione praticamente incomprensibili, caratterizzate da tagli veloci come un battito di ciglia e movimenti della macchina da presa talmente confusi da far venire il mal di mare. Quindi mettiamola su questo piano, io mi assumo la responsabilità di quello che sto per scrivere e voi cercate di venirmi dietro, per quanto sia possibile: Michael Bay è un autore dell’entertainment, ha portato avanti una sua personalissima (e decisamente elementare) idea di cinema e ha sviluppato uno stile che, per quanto sbagliato possa essere, è rimasto coerente nel corso di questi anni.
Michael Bay è americano ed è anche un bel po’ tamarro (con tutte le accezioni positive e non che questo termine può avere). Questo nelle sue pellicole si nota parecchio. Agli americani tamarri piacciono le esplosioni, piacciono i film dove ad un certo punto tutto salta in aria, i buoni vincono e c’è qualcuno che si alza urlando “Yeah!”. Anche ad alcuni italiani queste cose piacciono, ma sappiamo bene come siamo fatti, noi esultiamo ma fino ad un certo punto, mantenendo il cosiddetto contegno. Il tamarro a stelle e strisce no, lui prova un vero e proprio orgasmo quando vede esplodere qualcosa. E, sia chiaro, a me quest’aspetto piace perché sono tamarro anch’io, ma da bravo italiano non lo metto in mostra più di tanto.
Eppure nel corso della sua carriera Michael Bay non ha mai realizzato un’opera del tutto compiuta, questo tenendo sempre conto del genere di riferimento. Ho provato a dare una motivazione a tutto questo, che andasse oltre un semplice e sbrigativo “E ci credo che non ha fatto film riusciti, è un incompetente!”. L’unica spiegazione che sono riuscito a darmi è che finora si è trovato tra le mani solo budget di un certo livello e lui è fondamentalmente un bambinone. Non è in grado di gestire grandi somme di denaro e non appena gli vengono affidati un po’ di soldi non può fare a meno di rendere pacchiano il tutto, piazzandoci qualche scena spettacolare ripresa con una telecamera svolazzante appesa ad un filo interdentale.
“…E poi lì ci mettiamo una bella esplosione, di quelle che fanno un BOOM grosso quanto una casa. Io monto delle molle sulla telecamera e la faccio rimbalzare di qua e di là.”
Con Pain & Gain però le cose non sono andate così. Dopo tantissimo tempo questo regista ha deciso di sua spontanea volontà di girare una pellicola con un budget decisamente ridotto (stiamo parlando di 20 milioni di dollari) e si è dedicato ad una storia che è tamarra fino al midollo, quella di due body builder dediti all’uso e abuso di steroidi, che si trovano coinvolti all’interno di un giro di estorsioni e rapimenti dal quale sarà difficile uscire. Protagonisti Mark Wahlberg e Dwayne “the Rock” Johnson, il primo bravo, ma con degli scheletri particolarmente tamarri nell’armadio; il secondo, beh, non ci vuole molto per intuire che sia la persona meno delicata sulla faccia della terrà. Il trailer l’abbiamo visto tutti (perlomeno gli interessati) e, diciamo la verità, promette molto bene.
Contiene tutto quello che un’opera del genere deve avere: azione, dinamicità ed un bel po’ di umorismo. Perché Michael Bay in realtà è un compagnone, una di quelle persone con cui passeresti una serata intera a bere birra e parlare di ragazze e sa bene cosa deve contenere un buon blockbuster action, come negli anni ‘80/’90 lo sapevano altri autori come Walter Hill e il troppo sottovalutato Craig R. Baxley.
In conclusione Pain & Gain sembra essere una versione più contenuta del pensiero di questo regista, dove per forza di cose ci si è dovuti limitare, perlomento dal punto di vista della spettacolarità. E per quanto mi riguarda all’interno di una situazione del genere Bay può solo guadagnarci, regalandoci del sano intrattenimento estivo che, sebbene destinato a durare il tempo della sua permanenza in sala, potrebbe sul serio accontentare tutti gli appassionati di cinema di genere.
Sono un inguaribile ottimista? Se pensate questo evidentemente non mi conoscete bene, ma magari questa volta avete ragione.