Un americano a Londra. E’ andando alla radice l’archetipo da cui nasce Mr. Selfridge, miniserie ITV e poi trasmessa da PBS (la rete USA dei classici inglesi in costume), diffusa in Italia da Diva sulla piattaforma Sky, che permette a Jeremy Piven di esordire da protagonista tv dopo il gran successo anche personale di Entourage (2 Globe e 3 Emmy).
La storia vera è quella di Harry Selfridge, imprenditore americano che vive a Londra e decide di creare il primo grande magazzino del mondo: il suo sogno imprenditoriale – molto americano più che britannico – si scontrerà con numerosi problemi economici, sociali e politici, ma la tenacia di Harry darà vita ai magazzini Selfridges.
Creata da Andrew Davies sulla base del libro di Lindy Woodhead, Mr Selfridge è un dramma in costume (concepito come miniserie e poi divenuto serie a tutti gli effetti con l’annuncio di ITV di una seconda stagione prevista per il 2014) che racconta in toni british il sogno capitalista a stelle e strisce.
Davies infatti, che scrive molti degli episodi tra cui il pilot diretto da Jon Jones, racconta in pratica la nascita della società dei consumi moderna, con il grande magazzino come luogo che riunisce i bisogni e le necessità, ma anche in cui incubare le strategie di massa, unire l’alto e il basso per attirare più pubblico possibile, un po’ come fanno le produzioni televisive. Ovviamente la prospettiva da cui Davies guarda il suo protagonista è acritica in questo senso, tesa a ritrarre una storia classica di sogni e creazioni, mirando al Tucker di Francis Ford Coppola.
Obiettivo irraggiungibile per Mr. Selfridge: la struttura e la scrittura convenzionali impediscono agli autori di rendere vivace, credibile, interessante e appassionante un racconto che come abbiamo avrebbe più di uno spunto interessante da approfondire. E se si esclude la bravura di Piven, a cui però pare che abbiano tirato il freno a mano, non si capisce non solo come ne abbiano tratto 10 episodi, ma anche da dove ne tireranno altri 10 per la prossima stagione. Un prodotto pronto per Rete4, ma non all’altezza di quel gioiello – che Rete4 infatti ha massacrato – di Downton Abbey.
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