Mad Men, il commento alla 6^ stagione

Mad Men, il commento alla 6^ stagione

Di emanuele.r

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Dopo la bellezza e la complessità della scorsa 5^ stagione, il ritorno di Mad Men con la penultima annata segna il momento della rivoluzione, in cui i piccoli o grandi cambiamenti avvenuti nella società e nei personaggi si specchiano in un contesto storico dominato dalle guerre e dalle rivolte a esse. Un contesto in cui la figura di Don Draper è sempre più allo sbando.

La 6^ stagione della serie di Matthew Weiner è ambientata nella seconda metà degli anni ’60, quella in cui i movimenti per i diritti civili e il pacifismo cominciarono a farsi sentire dando il là al 68 e alle controculture che cambiarono, almeno culturalmente, il pianeta. Cambiamenti che riguardano soprattutto le questioni femminili e la lotta contro le guerre, i temi cardine di questa stagione.

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Che anche per i personaggi è la stagione delle rivoluzioni e dello scontro generazionale tra chi è in grado di accoglierle e di adattarvisi e chi invece deve vedersele passare addosso senza poter reagire, cominciando a temere per la propria identità. In questa 6^ stagione Mad Men sembra muoversi per contrapposizioni: oltre a quella tra rivoluzione e resistenza, giovani contro adulti che in senso di classe diventa impiegati contro dirigenti, con le idee e le novità di costume che devono fronteggiarsi nel mondo della pubblicità, sempre oscillante tra conservazione e innovazione; uomini contro donne, con le nuove consapevolezze del gentil sesso che prendono il sopravvento sulle certezze perdute dei maschi. A farne le spese pare proprio Don, il cui avvio nelle Hawaii, la sua scoperta di un lato vagamente romantico prova a coprire l’insoddisfazione patologica del suo animo, che l’ha portato a ricominciare nelle sue dinamiche di menzogna e tradimento che sono l’unico modo in cui riesce a comunicare, soprattutto con le donne, ma che rischiano di portare il personaggio a uno stallo, in un abisso arido in cui non ci sono più margini per muoverlo.

Basterebbe confrontare il modo con cui Don e il suo modello Roger reagiscono alle difficoltà e ai traumi: se il primo vomita dando un orrendo spettacolo di sé (in contrapposizione ironica al portiere che sviene a inizio première, Roger va dallo psicoanalista per guardare dentro se stesso ed evolversi. Se queste caratteristiche sono il sale di Don, rischiano però di cristallizzarlo in schemi di comportamento che possono rendere ripetitive le sue sequenze. Una stagione che a fronte delle promesse di un mondo migliore, racconta l’atmosfera di mestizia e rinuncia che circonda molti dei suoi personaggi con la solita finezza di scrittura e personalità di regia. Forse non sarà l’annata migliore, ma Mad Men continua a colpire nel segno.

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