Capita spesso che l’arrivo di un film in sala faccia venire in mente le più svariate riflessioni riguardanti il mondo della Settima Arte e i suoi cliché. Ci sono anche casi in cui anche solo nominando un titolo possono venire in mente altre opere accomunate dalla stessa tematica, che spesso può coincidere con un luogo ben preciso.
House at the End of the Street, la pellicola horror thriller diretta da Mark Tonderai e con protagonista la star di Hunger Games Jennifer Lawrence, ha da poco fatto il suo ingresso nelle sale italiane per esempio. Si tratta di un titolo che riporta alla mente altre opere ben più famose, come ad esempio L’Ultima Casa a Sinistra di Wes Craven, guarda caso legate al cinema cosiddetto “di genere”. Il tema che le avvicina è facilissimo da intuire: la Casa, un luogo ambivalente e in grado di dimostrarsi al tempo stesso un rifugio sicuro e una trappola mortale.
Il fatto di collegare le quattro mura domestiche all’horror magari è una pura deformazione professionale, dettata dall’adorazione che il sottoscritto nutre nei confronti di questo lato oscuro del cinema troppo spesso sottovalutato, ma abbiamo una serie di casi di cronaca che a loro volta hanno ispirato una serie di cult intramontabili. Storie vere e decisamente orribili, che sono lì a testimoniare quanto quest’ambivalenza non sia solo frutto della fantasia di qualcuno.
L’ORRORE CONCRETO
Personalità deviate come Ed Gein, John Wayne Gacy e Jeffrey Dahmer hanno ispirato le trame di pellicole come Psycho, Il Silenzio degli Innocenti, Non Aprite quella Porta, portando sul grande schermo figure come Norman Bates, Faccia di Cuoio e Buffalo Bill e introducendoci all’interno delle loro abitazioni, dimore di oscuri segreti. Case dove, è inutile dirlo, è meglio non entrare, perché una volta varcata la soglia è molto difficile uscire, soprattutto vivi.
In casi come questi realtà e finzione si fondono, dando luogo a storie (im)possibili e profondamente radicate nella nostra cultura o peggio ancora nella nostra storia, come ad esempio in Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini, ultima opera di questo regista ed estremo emblema di quei mostri che può partorire il sonno della ragione (chiuso tra quattro mura). Una riflessione portata avanti – ma in maniera totalmente differente – anche da Wes Craven con il suo La Casa Nera e che ha trovato la sua estrema consacrazione in epoca recente grazie alla saga di Saw, inaugurata nel 2004 da James Wan. Anche qui abbiamo delle povere vittime chiuse in un’abitazione e sottoposte alle angherie di un folle che si è improvvisato salvatore delle anime perse. Normali edifici dall’esterno, veri e propri inferni una volta varcata la soglia.
Anche Stephen King ci ha messo del suo scrivendo Misery e rinchiudendo il suo alter ego scrittore nell’abitazione di una fan squilibrata, successivamente impersonata da Kathy Bates nella trasposizione cinematografica del 1990 (grazie alla quale ha vinto un oscar più che meritato).
L’ORRORE METAFISICO
Le cose peggiorano nel momento in cui entra in scena la sfera metafisica. In quel caso il “potrebbe sul serio succedere” lascia il tempo che trova, facendo appello a paure più ancestrali che terrorizzano lo spettatore e non lasciano via di scampo ai poveri malcapitati che si trovano sul grande schermo.
Prima di Sam Raimi e del suo Evil Dead, le quattro mura avevano già conosciuto l’orrore proveniente da altre dimensioni ultraterrene. Gli esempi letterari si sprecano, che si faccia riferimento alle favole dei Fratelli Grimm (Hänsel e Gretel e la casa di Marzapane della Strega Cattiva, così invitante quanto letale) o a scrittori del calibro di Edgar Allan Poe, il cui racconto La Caduta della Casa degli Usher è stato oggetto di diverse trasposizioni cinematografiche, la più famosa diretta da Jean Epstein nel 1928.
Anche in questo caso i film sono numerosi e tutti molto validi. La Casa dei Fantasmi, interpretato dal sommo Vincent Price e diretto dal J.J. Abrams ante litteram William Castle, che prima di ogni altro è stato in grado di intuire quanto nel cinema fosse indispensabile il cosiddetto “viral marketing”. Un tocco di realtà poi non guasta mai, come ci hanno dimostrato pellicole ispirate ad eventi realmente accaduti. È questo il caso di Amityville Horror, ambientato all’interno di una casa teatro di orribili delitti e abitata da presenze decisamente poco amichevoli. Un vero e proprio viaggio nella follia è invece quello che tocca all’Inquilino del Terzo Piano Roman Polanski, nello straordinario film del 1976, che per questo regista ha rappresentato una sorta di variazione sul tema, dato che era già stato trattato in maniera meno grottesca in Rosemary’s Baby.
Come non citare poi Poltergeist di Tobe Hooper, che dopo Non aprite quella porta e Quel motel vicino alla palude ci ha regalato un’avventura a base di spiriti fracassoni provenienti – udite udite – dal tubo catodico e decisi a tormentare l’esistenza del protagonista Craig T. Nelson di tutti i membri della sua famiglia.
UN RIFUGIO SICURO
Certo, è anche vero il contrario: la sicurezza che solo le mura domestiche sono in grado di offrire in alcuni casi può salvarci da situazioni disperate. C’è tutta una cinematografia western lì a dimostrarlo e tutta una serie di opere più o meno derivate che – fateci l’abitudine perché qui è vizio – toccano il cinema horror/thriller più puro. La Notte dei Morti Viventi per esempio è ambientato quasi interamente in una casa e guai se così non fosse, dato che all’esterno ci sono più morti che vivi! Altra variazione sul tema è Distretto 13 – Le Brigate della Morte del grande John Carpenter, anche se in questo caso si tratta di una centrale di polizia.
Altri esempi più recenti di case cinematografiche li incontriamo in opere come Quella Casa nel Bosco, À l’intérieur, Martyrs e, giusto per cambiare un po’ genere, The Raid. Ma da queste parti si è deciso di concludere in bellezza con un video che rappresenta un altissimo esempio di casa tanto letale quanto simpatica. Ora tocca a voi, quali sono le vostre case cinematografiche preferite? Dite la vostra nei commenti…