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Con questa 3^ stagione di Game of Thrones evidentemente non si può stare troppo tranquilli: non si fa in tempo a risalire la china e a sentire tornare di nuovo l’amore per le avventure di Stark, Lannister e altri che il fantasy HBO imbocca un episodio non solo di qualità inferiore ma ricco di elementi discutibili.
A Delta delle Acque, Robb Stark incontra gli ambasciatori dei Frey per cercare di concordare un’alleanza che possa cambiare le sorti della guerra. Intanto, ad Approdo del Re, Tyrion è costretto a dire a Sansa che dovrà sposare lui e non Loras Tyrell. Nelle Terre dei fiumi, Melisandre raggiunge la Compagnia senza Vessilli in cerca di sangue Baratheon. A nord della Barriera, Jon Snow e Ygritte si preparano alla pericolosissima scalata.
Scritto da Benioff e Weiss (showrunner) e diretto da Alik Sakharov, The Climb (la scalata, l’arrampicata) è l’episodio che lega le due metà della stagione e lo farebbe anche in modo discreto per gli sviluppi narrativi – il bisogno di oltrepassare la barriera, le alleanze da cercare e quelle da sventare, il ruolo della magia che prende sempre più piede – ma incappa in inconvenienti di scrittura e regia che non ci aspettavamo e che odorano di conformismo hollywoodiano.
Ovviamente non ci si riferisce ai tradimenti giusti, inevitabili e spesso riusciti all’opera letteraria, anche perché chi scrive non ha letto i romanzi di Martin, ma ad alcune scelte che non sembrano figlie dello show HBO. Per esempio l’uso dell’humour e dell’ironia, spesso goffo e fuori luogo: se il dialogo tra Olenna e Tywin sui futuri matrimoni (Joffrey-Margaery e Loras-Cersei) ha una sua grazia nell’insinuare e nel giocare coi sottintesi sessuali come omosessualità e incesto, anche grazie alla bravura di Diane Rigg e Charles Dance, le battute dei Lannister sul minore dei Tyrell sono quasi triviali e i doppi sensi, come Loras che descrive con viso civettuolo il vestito della futura (e negata) sposa Sansa, sono degni di sitcom mediocri. Di altra pasta è l’ironia amara e un po’ malinconica della scena in cui Tyrion deve annunciare a Sansa la decisione di farle sposare il nano con l’ancella Shae presente.
Ma non solo cadute di gusto di scrittura, anche la regia si adagia su stereotipi, convenzioni e banalità di messinscena che sorprendono: non tanto la suspense banale ma efficace della coppia appesa a un filo su un dirupo, quanto Ditocorto che recita fuori campo nel finale, come un episodio di Desperate Housewives, oppure l’ultima scena, bacio sul tramonto, musica trionfale e macchina da presa in alto come un qualunque film made in USA. Dove c’è, se c’è, la sostanza – per esempio, la tortura ai danni di Theon o Jaime che non ha più il coltello dalla parte del manico ma è ancora visto dalla sorella come l’unica salvezza – manca la forma, la mano di autori e registi che rende Game of Thrones una serie speciale. E che qui pare non molto di più di un rip-off, anche per qualità visiva e di effetti speciali.
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