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Roman Polanski continua il suo cinema di ispirazione teatrale e dopo aver portato sul grande schermo Carnage di Yasmina Reza si dedica a Venus in Fur di David Ives. Alla base di tutto in questo caso però c’è un’altra fonte, ovvero l’omonimo romanzo di Leopold von Sacher-Masoch che sconvolse il mondo aristocratico-borghese di fine 1800 con la perversa storia di un rapporto dominatore-dominato tra un uomo e una donna che, tra l’altro, ispirò il termine “masochismo”.
Siamo a Parigi in un teatro in cui un regista ha appena finito di fare una serie di provini per il ruolo di Wanda, la protagonista dell’opera di von Sacher-Masoch. E’ pronto a chiudere tutto e lanciarsi sotto la pioggia per andare pranzare assieme alla compagna, quando una donna tutta trafelata entra dentro la sala e chiede di potere fare l’audizione. E’ vero, è in ritardo e neanche aveva avvertito che sarebbe venuta, ma ci tiene tantissimo e la sua insistenza alla fine viene premiata e può recitare le prime battute. Ci vuole un attimo al regista per capire che è la donna giusta. La prova continua, il regista interpreta l’uomo, mentre l’attrice neanche ha bisogno del copione, sa tutta la parte già a memoria…
Polanski è uno di quei registi che anche bendati e con il piede sinistro riuscirebbero a dirigere un film meglio della metà dei suoi colleghi. Ce l’ha nel sangue e ce ne si accorge anche con Venus in Furs, film che non soffre minimamente il fatto di essere ambientato in un’unica location. Di teatrale c’è l’ispirazione e l’unica location a disposizione, ma il resto, montaggio, fotografia, inquadrature e tutto il resto, riescono a dare quella sensazione di spazio e respiro degno di qualsiasi film girato in condizioni diverse (i problemi di Polanski con la giustizia gli permettono pochissimi spostamenti, è per questo che i suoi ultimi lavori provengono dal teatro).
Certo, alla base della bellezza di questo film c’è prima di tutto la sceneggiatura (scritta dallo stesso Polanski), storia nella storia che non solo riesce ad indagare sull’unicità dell’equilibro che caratterizza ogni rapporto amoroso tra due persone, ma anche a costruire un interessantissimo parallelo tra questo e quello che si può formare tra regista e attrice, una relazione di dipendenza reciproca in cui ci si fa male e allo stesso bene allo stesso tempo. E non potrebbe essere altrimenti se si vuole che l’opera riesca al meglio. Insomma, anche chiuso in un teatro parigino Polanski fa cinema sul cinema, e lo fa alla grande, scrivendo e dirigendo una storia peraltro perfettamente interpretata dalla coppia di protagonisti, Mathieu Amalric e Emmanuelle Seigner. Non vincerà il festival di Cannes, ma è senza dubbio un film che conferma come età, preoccupazioni e problemi logistici non riusciranno mai a fermare un talento cristallino come quello di un autore come Polanski.
Voto: 3,5 /5
Anche quest’anno ScreenWeek ha seguito il Festival di Cannes per raccontarvi tutto il cinema d’autore e gli eventi della Croisette in diretta: trovate tutta la copertura nella nostra Sezione Speciale.