Cannes 2013 – Le Congrés (The Congress) di Ari Folman, la recensione

Cannes 2013 – Le Congrés (The Congress) di Ari Folman, la recensione

Di Andrea D'Addio

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Molto liberamente tratto dal romanzo di fantascienza Il congresso di futurologia di Stanislaw Lem (lo stesso autore del libro alla base del Solaris di Tarkovskij), Le Congrés è il nuovo film di Ari Folman, il regista israeliano divenuto famoso nel 2009 con Valzer con Bashir.

Ancora una volta c’è dell’animazione nel suo film, ma non solo. La prima ora infatti, così come alcuni momenti successivi, sono interpretati da attori e in carne ossa. Del resto quando al centro della narrazione si mette una Robin Wright che recita con il suo vero nome, la’esigenza di legarsi a doppio filo con la realtà diventa imprescindibile. Il mondo del futuro è dietro l’angolo e bisogna preparsi a vedere capovolti punti di vista e prospettive di vita. È per questa ragione che Robin Wright acconsente all’idea di farsi clonare e fare sì che le sue copie, che rimarranno eternamente giovani, girino i film per lei. La società ha bisogno di illusorie icone ed il passo successivo sarà quello di procurare a tutte loro delle droghe allucilogene che possano fargli credere di vivere in un mondo migliore di quello che è. E’ un po’ lo stesso presupposto alla base di Matrix, solo che nel film di Folman “l’altro mondo” è un cartone animato e analoghe sono le considerazioni che ne sostengono i’aspetto drammaturgico: meglio vivere in un mondo brutto, ma reale o bello, ma falso?

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Folman mischia sogni, allucinazioni, spostamenti temporali e chi più ne ha più ne metta, per tirare fuori un film dai tanti registri narrativi che potrà avere qualche estimatore (è un film da o tutto o niente), ma che in definitiva sembra un grande calderone pieno di intuizioni e suggestioni, ma nessuna sostanza, solo tanta confusione. La prima ora è un continuo parlare di rara noia, la seconda invece, nonostante finalmente le immagini comincino ad acquisire almeno un minimo di importanza (a discapito delle parole) è altrettanto ridondante. Non basta giocare con l’idea della celebrità per strappare qualche sorriso, alla lunga l’espediente stanca e rischia persino di cadere nel trash, come la scena del sesso floreale. E così, se da una parte si apprezza l’ambizione di realizzare un film così complicato, dall’altra non si riesce a passare sopra al tanto déjà-vu, peraltro organizzo in maniera piuttosto caotica. I simpatici cammei dei vari Paul GiamattiHarvey Keitel e Paul Hamm (solo vocale per lui) strappano giusto mezzo sorriso, incapaci anch’essi (a causa della sceneggiatura) di trovare quella chiave grottesca di cui questo film che si prende troppo sul serio avrebbe avuto bisogno.

Voto: 2/5

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