Cinema Ultime News

Cannes 2013 – Heli, la recensione del film-scandalo messicano

Pubblicato il 17 maggio 2013 di Valentina Torlaschi

Una casa modesta, come fuori dal tempo e dallo spazio, e immersa in un paesaggio quasi lunare dove l’arsura sembra aver prosciugato ogni forma di vita vegetale e animale. Lì conosciamo i protagonisti di Heli: il film-scandalo presentato ieri in Concorso al Festival di Cannes e diretto dal giovane regista messicano Amar Escalante. In quelle quattro mura di appena due stanze e due letti abitano 5 persone: Heli (il protagonista 17enne), la sua compagna (una ragazza diventa madre troppo presto e troppo presto strappata alla sua giovinezza), la loro piccola di pochi mesi, la sorella Estela (una bambina di 12 anni un po’ disorientata in quel corpo da adolescente che sta cambiando) e il padre di ben poche parole. Una famiglia complicata ma che cerca con inerzia di vivere serena e che, invece, da un giorno all’altro vedrà la propria vita distrutta e martoriata. Il tutto a causa di un regolamento di conti tra bande di narcotrafficanti e corpi speciali di militari, i quali sono anche più feroci e corrotti dei criminali che “combattono”…

È brutale, violento, sanguigno, carnale questo Heli. Un film drammatico e doloroso che non manca di sfociare nell’horror con scene macabre e scioccanti di uomini torturati, teste mozzate, genitali dati alle fiamme, schiene spezzate a colpi di sprangate e anche simpatici cagnolini dal pelo bianco e nuvoloso a cui viene tirato il collo. Una violenza scioccante e gratuita al tempo stesso che, un po’ come già ci aveva raccontato Tony Manero (anche se in un contesto molto diverso dato che il film di Larrain è ambientato nel Cile anni ’70), sembra essere un elemento quotidiano nella cultura dei latinos in certe zone del Centro America. Dove, appunto, si vive in un clima di paura permanente con la morte che si respira nell’aria e con la sensazione che uccidere una persona sia, alla fine, un gesto banale. Un gesto che lascia totalmente indifferenti come del resto ci mostra il film in quello sguardo annoiato-alienato di due bambini che assistono alle torture della vittima di turno come stessero guardando imbambolati la tv o la playstation. Heli, d’altro canto, si nutre della realtà del suo Paese: le atrocità descritte (teste mozzate comprese) sono infatti ispirate a episodi veri, a una situazione, quella in Messico, dove i traffici clandestini di droga hanno fatto negli ultimi anni più di 100 mila vittime proponendo involontariamente un immaginario di cronaca, violenza e torture delle più agghiaccianti.

Ma Heli non è solo un film intriso di scioccante e realistica brutalità quotidiana. L’aspetto forse più originale della pellicola sono questi inserti di messa in scena grottesca-surreale per cui la banda degli anti-narcotrafficanti sembra uscita, col loro Suv mastodontico e le loro divise, da un film di fantascienza. E poi non mancano brevi flash di ironia come quello in cui il fidanzato di Estela le vuole dimostrare la sua prestanza fisica sollevandola come fosse un culturista alle prese con un bilanciere.

Pur riconoscendo l’interessante riflessione su quella violenza tanto feroce quanto gratuita di certa società messicana e poi l’ineccepibile bravura e credibilità degli attori, Heli non riesce a convincere del tutto. E questo perché rimane troppo intrappolato nella “gabbia del tipico film da festival” in cui il classico stile autoriale dai lunghi silenzi, piani sequenza, fotografia sporca sembra aver reso ormai troppo codificato (ma anche innocuo, diluito) qualsiasi shock, scandalo e dolore.

Anche quest’anno ScreenWeek è al Festival di Cannes per raccontarvi tutto il cinema d’autore e gli eventi della Croisette in diretta: trovate tutta la copertura nella nostraSezione SpecialeQui e qui il capitolo 1  e 2 del Diario da Cannes del nostro inviato.