Un uomo che aizza il cane, un altro che affila un palo ed un altro ancora che imbraccia il fucile, solo però dopo aver dato messa, parliamo infatto di un prete. Si dirigono assieme verso il bosco. Sottoterra, nascosto tra le frasche vive un uomo. È il loro obiettivo. Lo vogliono uccidere, ma lui scappa e avverte gli altri suoi amici nascosti in altre tane. Chi sono? Perché scappano?
L’uomo, il primo dei fuggitivi, vaga per la campagna. Siamo in Olanda. Vede una bella casa, suona, chiede se può fare un bagno, è sporco, ha bisogno giusto di una doccia, ma viene logicamente rifiutato. Ci proverà ancora, finché non viene addirittura picchiato da un padrone di casa infastidito da tanta insistenza. Purtroppo non si libererà facilmente di lui, sua moglie ha pietà dell’uomo malmenato e, quando il marito va a lavoro, lo cura di nascosto. E’ l’inizio di un ambiguo rapporto dalle conseguenze inimmaginabili.
È un peccato scrivere la trama di Borgman, film dell’olandese Alex van Warmerdam, presentato in concorso al Festival di Cannes e lo è perché ogni svolta narrativa è sorprendente ed è giusto godersela come tale. Il tono è grottesco, riuscito mix tra commedia, fantasy e thriller, ma non finisce qui visto che il film trasuda un erotismo così profondo, eppure così casto nelle immagini, che poche chi scrive ha mai avvertito guardando un film. La tensione è altissima fin dalle prime sequenze e l’ambiguità che circonda ognuno dei personaggi raggiunge picchi davvero notevoli. Non ci sono nè buoni nè cattivi nella storia, tutti a loro modo hanno il proprio lato oscuro anche se, andando a scavare dentro il film, ecco che si scopre come tutta la storia possa essere letta come una metafora della società di oggi e, persino, un’apologia al razzismo.
Alex van Warmerdam mischia un po’ le carte e offre anche al padrone di casa l’occasione e le battute giuste per dimostrare al pubblico il suo intollerabile razzismo (come quando fa i colloqui per i giardinieri), ma non c’è dubbio che Camiel, il viandante, e tutti i suoi amici che poi arrivano, ricordano tanto gli zingari. Sono nomadi, vivono come parassiti sulle spalle di una società che (sembra) funzionare bene, attaccandone la serenità semplicemente con la loro presenza, mietono vittime in silenzio, senza mai alzare la voce e quando hanno “finito di giocare” se ne vanno portandosi via ciò che c’è di più valore (nel film sono i giovani, i tre bambini e la tata). Il fantasy di cui è ammantato il tutto è una copertura che si smaschera facilmente. Persino i nomi scelti per i personaggi di contorno come Ilonka, richiama l’est Europa. Interpretare così il tutto non significa cercare di vedere oltre a quello che racconta il film. Alex van Warmerdam inserisce il tema “razzismo” in più punti del film ed il fatto che si parli di stranieri vs nativi è una scelta che già si può notare dal cast visto che buona parte degli attori scelti sono belgi che parlano olandese e non semplici olandesi. E se ci si ricorda di quanto la xenofobia sia in crescita nei Paesi Bassi (più che in qualsiasi altro Paese europeo), ecco che il film acquista ancora più peso in termini di attualità. Che dire quindi? Da un punto di vista “etico” sarebbe da condannare, da un punto di vista prettamente cinematografico è un film in cui tutto, dalle interpretazioni alla scenografia (la casa in cui si svolge tutto è stata costruita appositamente), dalla regia alla sceneggiatura (se non fosse per quella seconda parte un po’ troppo lunga!) è (quasi) perfetto e quindi, purtroppo, è comunque grande cinema.
VOTO 4/5
Anche quest’anno ScreenWeek è al Festival di Cannes per raccontarvi tutto il cinema d’autore e gli eventi della Croisette in diretta: trovate tutta la copertura nella nostra Sezione Speciale.