Una crisi di identità indotta dall’improvvisa perdita di un figlio, il confronto con una terra esotica dove ogni piccola esistenza umana sembra trovare sospensione, e infine il lento ritorno alla vita grazie all’incontro con i valori ancestrali di una piccola comunità, che combatte per la propria sopravvivenza nella miseria e nel fango delle favales brasiliane. Ultimo lavoro del regista Giorgio Diritti, Un giorno devi andare è la storia di una donna di trent’anni, Augusta, che ha deciso di abbandonare la propria vita ordinaria in Italia per mettersi a servizio di un causa più alta, affiancando una suora cattolica nella sua missione in Amazzonia. Insoddisfatta di alcuni aspetti dell’evangelizzazione degli indios, a un certo punto del suo percorso Augusta sceglie però di abbandonare qualsiasi tipo di filtro e barriera protettiva, andando a vivere davvero in mezzo ai poveri, tra le baracche di uno dei quartieri più degradati di Manaus. Protagonista di questo viaggio, allo stesso tempo estremamente fisco ed estremamente intimo e immateriale, una bellissima e autentica Jasmine Trinca, probabilmente alle prese con una delle migliori interpretazioni della sua carriera. Ecco cosa ci ha raccontato l’attrice di tale esperienza, vissuta all’altro capo del mondo, in occasione della presentazione del film alla stampa.
Jasmine, come hai affrontato questo ruolo particolarmente impegnativo, anche dal punto di vista fisico?
Con un po’ di incoscienza, ma soprattutto con la consapevolezza, condivisa col regista, che l’unico modo per realizzare questo film era recarsi in quei luoghi con un atteggiamento di completa apertura. Tanto nei confronti delle regole di un altro Paese quanto della natura, che l’Amazzonia ci ha in qualche modo costretto ad accogliere. Non potevamo partire come un’attrice e un regista, ma con l’innocenza di due persone che provano con l’entusiasmo dei bambini ad adattarsi alle regole di un nuovo gioco.
Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
Mi ha lasciato dei ricordi soprattutto sensoriali. Ovviamente ci sono tante cose e tante esperienze che abbiamo fatto, ma su tutto prevale la memoria di questo luogo, che sembra il centro della Terra. Come se tutti fossimo nati e provenissimo in qualche modo da lì. Ecco, questo posto ha come risuonato in me, c’era un eco che penso proprio sentirete anche voi, se mai vi capiterà di affrontare un viaggio come questo e di affrontarlo con lo stesso rispetto.
C’è stata qualche particolare difficoltà durante le riprese?
Il fatto di girare in Amazzonia, per lo più con attori non professionisti, e dunque ancora più straordinari, ha comportato qualche volta la difficoltà di introdurre il codice del cinema. A parte questa piccola cosa, ci sono stati come ho accennato alcuni eventi atmosferici che non abbiamo potuto dominare, bensì accogliere. Però anche quando ti capita una tempesta, aspetti un paio di giorni poi ricominci a girare e vai avanti.
Pensi anche tu che “un giorno si debba andare”?
Sicuramente il titolo ci aiuta molto nella lettura del film. Soprattutto di un aspetto della protagonista che trovo estremamente importante, e molto femminile, cioè la capacità di rigenerarsi. Come i fiori, come la primavera che ritorna. Credo sia centrale questa idea: partire e lasciare il proprio io, la propria persona, il proprio dolore, per incontrare qualcos’altro. Non solo un riscatto, ma anche l’altro, in tutti i sensi. Questa è una delle cose più importanti che si possano fare.
Sono state difficili le scene che hai girato da sola, in particolare nella parte più intima del film?
No, anzi trovo siano state utilissime per il percorso compiuto dal personaggio. A un certo punto del film la protagonista vive una fase di completo isolamento, e per realizzarla Giorgio mi aveva chiesto di dormire da sola in una capanna in spiaggia. Non essendoci lì alberghi, alla fine ho dormito in una barca, questo perché si tratta di un sensazione fondamentale per la chiusura del personaggio.
Un giorno devi andare esce oggi nelle sale italiane, distribuito da BIM.