Archivio Ultime News

8 Marzo – Una personalissima top 5 di film diretti da donne

Pubblicato il 08 marzo 2013 di Valentina Torlaschi

The Hurt Locker Kathryn Bigelow Mark Boal Foto Dal Set 02

Esiste un “cinema al femminile”? I film diretti da donne sono dotati di caratteristiche peculiari? È vero che il “sesso debole” dimostra spesso, nelle proprie opere, una sensibilità particolare, un’emotività più spiccata? E poi, la categoria dei registi è ancora così prettamente maschile o qualcosa sta cambiando? E allora perché, come ha fatto notare un interessante articolo sul Corriere della sera di qualche giorno fa, le donne che lavorano nel cinema sono per la maggior parte montatrici e quasi mai direttrici della fotografia?
Be’, variazioni sul tema di queste domande sarebbero davvero infinite, e trovare delle riposte è un terreno molto scivoloso. Un terreno, quello del cinema femminile (o chiamatelo “di gender”, se volete darvi un tono) su cui comunque s’indaga da diverso tempo e prova ne sono anche dei Festival importanti come quello francese di Créteil (Festival International de Films de Femmes, quest’anno alla 35esima edizione), o anche quello di Sguardi altrove di Milano (20esime edizione).

Tutta questa premessa seriosa per dire che oggi Festa della donna può anche essere l’occasione per parlare di cinema al femminile. Ecco allora una mia personalissima e liberissima classifica di 5 film diretti da registe che, negli ultimi anni, si sono distinte per coraggio, stile o sensibilità.

5. Lost in Translation – L’amore tradotto di Sofia Coppola (2003)
I film di Sofia Coppola non mi convincono mai al 100% ma la ragazza ha la capacità, che solo i certi grandi autori anno, di farsi riconoscere da una sola inquadratura. Il suo è uno stile visivo rarefatto, etereo e tenue che viene sempre accompagnato da musiche dal gusto indipendente creando un connubio immagini-musica di una poesia indelebile. Insomma, dato il cognome ingombrante che porta, Sofia è stata in grado di trovare una sua identità forte e totalmente sganciata da quella del papà Mr. Francis Ford. E questo è già un merito. Ma andiamo al film in questione. Dopo Il giardino delle vergini suicide, è con Lost in Translation che Sofia Coppola ottiene nel 2003, complice anche l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale, una certa notorietà. Classica storia di solitudine e incomunicabilità sullo sfondo di una Tokyo totalmente folle agli occhi di noi occidentali, è una pellicola ironica, dolce e stralunata. Sarebbe sacrilegio non citare i due protagonisti: il Bill Murray apatico e sornione che poi in tanti han copiato e la giovanissima Scarlett Johansson.
Postilla: Da recuperare anche gli altri film di Sofia Coppola Maria Antonietta e Somewhere. Film che sembrano essere costruiti tra video-arte e videoclip (e spesso esaurirsi a un paio di sequenze). E, a proposito di video clip e musica, c’è un trio musicale (fatto di sole donne) che sembra essere il perfetto corrispettivo musicale della Coppola: loro si chiamano Au Revoir Simone e, per continuare il cortocircuito cinema-musica, sono molto amate da niente meno che David Lynch (qui la prova)…

4. Come l’ombra di Marina Spada (2006)
Regista indipendente milanese, Marina Spada è un’autrice rigorosa, spigolosa ma di profonda sensibilità. Questo suo Come l’ombra è un film del 2006, presentato alle Giornate degli Autori del Festival di Venezia, che racconta di un’amicizia “forzata” tra una 30enne dalla vita ordinata ma vuota e una ragazza ucraina che si porta dietro una valigia piena di problemi, vitalità e misteri. Anche qui due solitudini che s’incontrano, anche solo per qualche giorno, in una Milano estiva, torrida e deserta, magistralmente immortalata dalla regista con l’aiuto del fotografo (recentemente scomparso) Gabriele Basilico. E con una memoria che va all’architettura d’immagini di Antonioni. Di Marina Spada segnalo anche Il mio domani con Claudia Gerini (presentato al Festival di Roma nel 2011): altro ritratto femminile in una Milano fredda, alienata ma che, chissà per quale motivo, non si può non amare.

3. Corpo celeste di Alice Rohrwacher (2011)
Sorella d’arte dall’attrice Alba, Alice Rohrwacher ha esordito come regista nel 2011 con Corpo celeste, film che è stato presentato alla Quinzaine des Réalisateurs di quello stesso anno raccogliendo un importante successo di critica. Un’opera difficile, dalla forte natura documentaristica, che vuole fornire una fotografia sul ruolo della Chiesa, oggi nella periferia di Reggio Calabria. Una fotografia dura e cruda su come la religione abbia perso la propria vocazione originaria e il proprio ruolo di guida delle comunità ma un film-fotografia che comunque non vuole giudicare o denunciare. Ciò che più sorprende di questa robusta opera prima è la capacità della giovane autrice di ritrarre questi paesaggi violentati dall’uomo e dalla sua speculazione edilizia.

Corpo Celeste Yile Vianello foto dal film 5

2. Il padre dei miei figli di Mia Hansen-Løve (2010)
Classe 1981, Mia Hansen-Løve è una regista francese con un breve passato di attrice in alcune pellicole di Olivier Assayas (poi diventato suo compagno nella vita vera) e di critica per l’autorevole rivista dei Cahiers du Cinéma. Esordisce dietro la macchina da presa nel 2006 con Tout est pardonné presentato alla Quinzaine des réalisateurs del Festival di Cannes che ottiene l’attenzione della critica. Il padre dei miei figli è il suo secondo lungometraggio, anche questo presentato a Cannes dove si aggiudica il Premio speciale della giuria: un film che riconferma lo sguardo assolutamente delicato e raffinato della regista nell’immortalare la vita nella sua amarezza e nella sua poesia. l padre dei miei figli racconta l’interessante storia di un produttore cinematografico indipendente la cui passione per il lavoro lo porterà a togliersi la vita. Lasciando sole, pur amandole profondamente, la moglie (una bravissima Chiara Caselli) e le figlie.

Le pere de mes enfants

1. The Hurt Locker di Kathryn Bigelow (2008)
Con The Hurt Locker è stata l’unica donna ad aver vinto l’Oscar per la regia. E già questo dovrebbe bastare. Ambientato durante la guerra in Iraq, il film segue le missioni di un gruppo di sminatori dell’esercito americano su cui emerge la figura di un artificiere geniale e indisciplinato che gioca con il fuoco e con la morte. Un film di guerra senza la guerra vera e propria, dove il nemico è invisibile (come Kubrick ha insegnato in Orizzonti di Gloria e Full Metal Jacket) e in cui però la guerra è una droga dalla quale, una volta assunta, non si può più fare a meno. Un film in cui adrenalina e filosofia corrono una di fianco all’altra. Un film popolato quasi esclusivamente da uomini ma in cui la presenza femminile è ineluttabile e rappresenta forse l’unica speranza nel deserto umano. Grandissimo.

The Hurt Locker Jeremy Lee Renner Foto Dal Film 03

E voi? Qual è la vostra top 5 di film diretti da registi-donne?