Django Unchained: incontro con Quentin Tarantino e il mitico cast a Roma

Django Unchained: incontro con Quentin Tarantino e il mitico cast a Roma

Di laura.c

Western più Tarantino: come prevedibile, un mix esplosivo. Omaggio a un certo cinema di genere già nel titolo (che si riferisce al Django del nostro Sergio Corbucci), l’ultima opera del venerato regista americano riunisce un cast spettacolare per un film che non sa solo di citazionismo, di puro cinema, di gusto e humour tarantiniano. Django Unchained riesce anche a raccontare in modo convincente il dramma della schiavitù nell’America prima della guerra civile. Protagonista della storia è infatti  lo schiavo liberato Django (Jamie Foxx), che con l’ aiuto di un cacciatore di taglie tedesco (Christoph Waltz) decide di sfidare il potente proprietario terriero Calvin Candie (Leonardo DiCaprio) e il suo lacchè Stephen (Samuel L. Jackson) per riprendersi sua moglie (Kerry Washington). A presentare il film alla stampa italiana, sono giunti oggi a Roma lo stesso Quentin Tarantino e alcuni dei principali interpreti dl film, quali Jamie Foxx, il mitico Samuel L. Jackson, Christoph Waltz, Kerry Washington e Franco Nero, protagonista del film di Corbucci che nel Django di Tarantino ha un breve cammeo. Ecco il nostro resoconto.

Quentin Tarantino, perché ha scelto lo spaghetti western invece che rifarsi all’ampia filmografia western americana?

Q. T. In realtà amo tutto il genere, ma ho sempre avuto un debole per gli spaghetti western, che corrispondono al mio tipo di cinema preferito. Sono caratterizzati da un certo surrealismo, da grandi estremi e dal ruolo centrale della musica. I loro registi sono stati i primi, se così si può dire, a montare i film in base alla musica. Ho sempre saputo che se un giorno avessi fatto un western, avrei seguito l’esempio di questi maestri.

Jamie Foxx, cosa ne pensa del rifiuto di Spike Lee di vedere il film, in quanto sostiene non si possa trattare una questione seria come la schiavitù dei neri in uno spaghetti western?

J. F.: Personalmente non sprecherei tempo a parlare di Spike Lee, ricorderei piuttosto tutte le persone di grandissimo talento e intelligenza che hanno partecipato a questo film e mi hanno spinto ad accettare il ruolo. Quando mi si è presentata l’opportunità di lavorare con Quentin, l’ho colta al balzo: è un pioniere, e sapevo che qualsiasi cosa avrebbe fatto sarebbe stata fantastica. È sorprendente il talento del regista e del cast, che si è impegnato in toto per fare il miglior lavoro possibile. Certo, sapevamo che lo schiavismo sarebbe stato un argomento scottante, ma ci sarebbe stato comunque qualcuno pronto a sparare contro il film, qualunque cosa avessimo fatto.

Kerry Washington: Vorrei aggiungere che mi sembra positivo ci sia tanta sensibilità rispetto al film. Vuol dire che ha avuto una risposta emotiva, che è entusiasmante e capace di provocare un dibattito sul tema. Un dibattito che permette di riflettere sulle ferite del nostro passato comune.

Tarantino, come le è venuta l’idea di associare, come si vede nel film, il suo Django con un eroe della mitologia nordica quale Sigfrido?

Q. T.: Quando comincio a scrivere una sceneggiatura ho sempre un’idea di quello che sono i personaggi e di dove voglio farli arrivare. Ma allo stesso tempo non voglio sapere subito tutto di loro, mi piace conoscerli mano a mano lasciandomi anche guidare da quello che ho intorno. C’è sempre qualcosa che cova nell’aria, e a un certo punto della scrittura è come se diventassi una calamita che attira a sé le idee. In questo caso, è successo che, mentre scrivevo, Christoph mi ha portato a vedere L’Anello dei Nibelunghi di Wagner, in particolare la seconda opera della tetralogia, e dato che non conoscevo bene l’inizio della storia, si è messo a raccontarmelo come se fossimo intorno a un fuoco. Anche se conoscevo già la storia grazie all’opera di Fritz Lang, solo a quel punto ho visto le similitudini tra Django e la ricerca di Brunilde da parte di Sigfrido, e ho capito che avrebbe funzionato benissimo nel film.  Trovo ci sia qualcosa di fantastico nel prendere una leggenda nordica e farla vivere parallelamente a un americano di origini africane.

Quanto ha contato l’apporto degli attori nella costruzione dei dialoghi?

Q. T.: Beh, diciamo che generalmente gli attori non vogliono certo lavorare con me per cambiare i miei dialoghi. Tranne forse Sam [Scherza].

Samuel L. Jackson: In realtà amo provare le mie parti con Quentin, si scoprono tantissime cose, in particolare il ritmo creativo del film. È come se ci fosse una specie di melodia di cui Quentin conosce la musica e i versi, bisogna solo cogliere il ritmo. Mentre lo facciamo a volte lavoriamo per sottrazione, cerchiamo di capire cioè quanto del mio retaggio mi è consentito portare sul set. Poi c’è un’altra fase di scoperta, che arriva quando hai gli abiti di scena e il volto giusto nel posto giusto. Non si può spiegare, ma Quentin è un maestro in questo, l’atmosfera sul set è così aperta e creativa che è d’ispirazione.

Christoph Waltz: Penso ci sia spesso un’errata interpretazione del lavoro dell’attore. Quando lavoro su una sceneggiatura di Tarantino la tratto come Cechov e Shakespeare. È una forma letteraria in sé per stessa, mi darei la zappa sui piedi se cercassi di cambiare qualcosa piuttosto che pormi a servizio del testo. Anche l’opera di Quentin è un Gesamtkunstwerk [opera d’arte totale] dove tutto è essenzialmente importante, dall’immagine, alla musica e alla performance, e non è certo mio compito modificarlo.

Q. T.: Bisogna anche considerare che durante le prove, solo un quarto del tempo lo passiamo leggendo la sceneggiatura. Il resto è dedicato a discutere le relazioni tra i personaggi e soprattutto le loro storie, quelle che precedono il racconto del film.

Tarantino, perché ha aspettato tanto a fare un film di questo genere che ama? E preferisce Sergio Corbucci o Sergio Leone?

Q. T.: Oddio, è come Salomone che deve tagliare il bambino in due. In realtà non ho aspettato per fare questo film né gli altri: semplicemente a un certo punto sbucano fuori da soli, quando è il momento giusto per farli. Infatti credo che sia proprio tempo che il western torni alla ribalta. Tornando ai registi, li amo entrambi e in un certo senso non posso scegliere. Le similitudini tra i loro film costituiscono la spina dorsale del genere, la differenze sta nel fatto che Leone puntava alle epopee giganti, mentre Corbucci era più prolifico, con dei cowboy forse più moderni. Ma, ripeto, amo entrambi i filmmaker.

Secondo voi l’America è ancora un Paese razzista, e in che misura?

K. W.: Non penso che il razzismo riguardi solo gli Stati Uniti, basta vedere cosa succede negli stadi italiani.

Samuel L. Jackson, come ha costruito il suo personaggio, uno dei più spregevoli del film?

S. L. J.: Prima di tutto ho cominciato a cercare le sue caratteristiche fisiche e tutte quelle che rendono Stephen leale e onesto ai propri occhi. Lui in realtà rappresenta l’eminenza grigia della piantagione di Candyland, ed è un cattivo puro, vero. Mi piace interpretare i cattivi, soprattutto quelli di Quentin, perché hanno una specie di ironia che li accompagna. Molti dei miei conoscenti comunque mi hanno chiamato per dirmi quanto sia piaciuto loro questo personaggio e quanto lo volessero vedere morto, quindi penso di aver fatto un buon lavoro.

Tarantino, in questo film è forse la prima volta che vediamo un suo personaggio, quello di Christoph Waltz, immolarsi per un ideale.

In realtà non ci ho mai pensato, non saprei dire se è davvero l’unico, ma in generale esito sempre quando mi si chiede di descrivere le motivazioni dei personaggi, perché voglio che ci riflettiate da soli. Se vi do un’interpretazione finirà per essere quella e basta, invece potete guardare al personaggio da tante diverse angolazioni, e non tutte per forza positive. Non credo sia una cosa così netta e definita.

Tarantino, cosa ne pensa delle esplosioni di violenza a cui si assiste negli ultimi tempi negli Stati Uniti?

Q. T.: È molto triste.

 

Jamie Foxx, è stato difficile calarsi nei panni del cowboy?

J. F.: Beh io vengo dal Texas. Non so se avete presente come sia, ma crescendo lì ho visto i cowboy, ho visto tantissimi western e quando mi ha chiamato Tarantino, gli ho chiesto anche se potevo usare il mio cavallo. Ovviamente non era abituato alla macchina del cinema, quindi girando abbiamo imparato tantissime cose tutti e due.

Tarantino, è vero che sta preparando un film sullo sbarco in Normandia visto dagli occhi dei soldati di colore?

Q. T.: Non so cosa farò adesso, ma potrei lavorarci. Ho scritto già metà della sceneggiatura, che ho dovuto togliere da Bastardi senza gloria altrimenti sarebbe dovuto durare 6 ore, però ci vorrà molto tempo prima che diventi un film. In realtà non ci sono state truppe di colore nel “giorno più lungo”, ma ci sono state il giorno dopo: il loro compito era quello di raccogliere i corpi e tenere sotto tiro i soldati tedeschi. Ma dato che l’esercito americano non si fidava di loro, in pratica li tenevano sotto tiro con armi scariche, da cui l’idea del film.

Quanto aveva in mente il Django originale scrivendo il film?

Q. T.: Sicuramente ci sono delle influenze, entrambi d’altra parte si occupano di razzismo. Anche in Django c’è il colonnello bianco che va a massacrare messicani. Corbucci quando ha girato quella scena sapeva che sarebbe stata spiacevole, e così ha deciso di coprire i volti degli assalitori con i sacchi, io invece l’ho fatto perché avevo la mia parte di storia americana che volevo raccontare. Ma Django l’ho scelto soprattutto in quanto icona western, in quanto sinonimo di quel tipo di violenza e di surrealismo. In un certo senso è come se avessi voluto prendere il cappello di Franco Nero e metterlo sulla testa di Jamie.

C’è una scena molto bella nel finale, che riguarda Christoph Waltz, come ci è arrivato?

Q. T.: Una delle cose difficili di questo tipo di film, è che c’è sempre qualcuno che ha paura di avere un attore principale di colore. Teme che lo spettatore medio non si identifichi, quindi arriva sempre un “salvatore” bianco a risollevare la situazione.  Hollywood non crede che il pubblico bianco possa vedere con gli occhi di qualcun altro, mentre questo film dimostra che non è così. D’altra parte il personaggio di Waltz rappresenta una parte del mito del western, è il mentore che insegna al giovane ragazzo, come ne I magnifici sette, o come ne I giorni dell’ira. È un sottogenere del western che mi è sempre piaciuto.

Sentivate la responsabilità di parlare di un tema quale il razzismo?

K. W.: Come cast abbiamo avuto modo di discutere su come vediamo il razzismo da diverse prospettive, e dunque di portare una verità emotiva nel film. Abbiamo avuto il privilegio di girare in una piantagione vera, quasi su un terreno sacro, come girare un film sull’Olocausto ad Auschwitz, e questo ha aiutato molto. Certo, non è stato sempre facile: DiCaprio aveva qualche preoccupazione per alcune cose che il suo personaggio doveva dire e fare nel film, ma dovevamo tutti essere pronti a incarnare gli orrori di questo mondo, perché questo è il percorso dell’eroe.

S. L. J.: Diciamo anche che se ne sono visti fin troppi di film con gli schiavi che raccolgono felicemente il cotone e cantano nei campi. Si è mentito su questo per molto tempo, e se non ci fossimo comportati come abbiamo fatto, il pubblico di colore avrebbe colto la menzogna. Questo è un tipo diverso di film, che prima di tutto intrattiene ma in secondo luogo mira a creare repulsione. E lo fa in maniera interessante, attraverso la presentazione onesta degli orrori della schiavitù. Non abbiamo neanche grattato la superficie di quello che è stato veramente.

Tarantino, è contento che la prima europea del film si svolga in Italia?

Q. T.: Non c’è di sicuro bisogno di dire che sono un grandissimo fan del cinema italiano, e negli ultimi film l’ho evocato in maniera molto ampia. Per il film precedente avevo Gloria Guida dietro di me, e poi Umberto Lenzi, Lamberto Bava… tutti lì insieme. Per me incontrare questi personaggi, così come Barbara Bouchet o Edwige Fenech o Sydne Rome, è come incontrare le star del cinema muto, è qualcosa che non avrei mai pensato potesse accadere nella vita reale. E stasera sarà anche meglio, ci saranno Ennio Morricone e tanti altri. Per me è molto entusiasmante, è come una festa con gli dèi.

 

Django Unchained farà il suo ingresso nelle sale italiane giovedì 17 gennaio 2013. Per tutte le novità sul film potete consultare le nostre news dal blog. Qui invece trovate la pagina facebook italiana del film.

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