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Torino 2012 – Terrados, la recensione

Pubblicato il 28 novembre 2012 di Filippo Magnifico

Se il cinema è (in parte) uno specchio del tempo in cui viviamo, è praticamente scontato che ci siano pellicole che parlino della crisi che tutto il nostro mondo, bene o male, sta vivendo.

Terrados, presentato in concorso alla 30° edizione del Torino Film Festival, parla appunto di questo, mostrandoci la storia di un gruppo di ragazzi spagnoli che hanno perso il lavoro o semplicemente tentano di emergere con le loro forze. Si incontrano praticamente ogni giorno e, di nascosto, si riuniscono sulle terrazze di vari edifici (da qui il titolo) senza fare niente in particolare se non bere qualche birra, fumare qualche sigaretta (o qualcosa di più potente) e parlare, ammirando dall’alto la loro città e, per certi versi, lasciando a chi vive nei “piani più bassi” tutti quei problemi che inevitabilmente riaffiorano quando si posano i piedi per terra.

Scritto, diretto e interpretato da Demian Sabini, Terrados presenta tutte (o quasi) le caratteristiche tipiche del film indipendente e non potrebbe essere altrimenti visto il tema portante di questa storia, che affronta contemporaneamente due tematiche ben concatenate tra loro e consequenziali: da un lato, come già detto, abbiamo la crisi che ha colpito la Spagna da un po’ di tempo a questa parte; dall’altro c’è una sorta di stigmatizzazione del cosiddetto “lasciarsi andare”. Il messaggio è molto chiaro: anche nei momenti più duri bisogna in qualche modo reagire e trovare uno stimolo che ci sblocchi da quel’inerzia che, bene o male, colpisce tutti coloro che da un momento all’altro si sono trovati senza un lavoro e, soprattutto, senza un futuro.

L’operazione funziona, sebbene non del tutto. La pellicola diretta da Demian Sabini, infatti, non riesce a coinvolgere più del dovuto, risultando più che altro un compitino ben scritto e ben confezionato. Quello che manca sul serio è proprio quel guizzo particolare, tipico delle pellicole indipendenti. Qui fondamentalmente sembra tutto già visto e già sentito (soprattutto considerando il fatto che il nostro cinema ricicla queste tematiche da tempo immemorabile), risvolti sentimentali compresi. Non brutto e neanche superfluo, semplicemente privo di attrattiva.