Il meta-cinema è materia delicatissima, oltre che abusata. Ci vuole poco per cadere nel groviglio meccanico o nella velleità, e soprattutto diventa più difficile appassionare lo spettatore. Nonostante queste controindicazioni, Mike Figgis torna alla regia di lungometraggio, dopo un periodo di tv e sperimentazioni, con Suspension of Disbelief, noir meta-filmico presentato nella sezione CinemaXXI del Festival del Film di Roma.
Protagonista è Martin, uno sceneggiatore e scrittore di talento, che dopo la scomparsa della moglie, la morte della misteriosa e affascinante Angelique e l’arrivo della sorella gemella Therese nella sua vita, comincia a cambiare e con lui il suo lavoro. Scritto dallo stesso Figgis, Suspension of Disbelief (titolo riferito alla sospensione d’incredulità che permette di emozionarsi e di prendere per vera la finzione cinematografica) è un film che cerca di smontare i meccanismi del nero shakerando Hitchcock (o meglio De Palma), Wenders e la Nouvelle Vague.
Costellato da una lezione di teoria della sceneggiatura tenuta dal protagonista, il film è un gioco con lo spettatore che – come lo stesso Martin – deve cadere nelle trappole seduttive della femme fatale attraverso immaginazione, giochi di specchi, messe in abisso tra script, film in fase di riprese e realtà che ispira un film ispirato dalla realtà. Però, più che riflettere sul rapporto tra creazione e realtà, Figgis si diverte a mettere in dubbio le certezze dello spettatore di noir, a giocare tra manierismo sfrenato e ironia, lasciandosi andare a dosi di improvvisazione e riscrittura in fieri.
Il gioco forse è datato e magari non del tutto appassionante, come dimostrano le sorprese e gli ingranaggi non sempre oliati, rendendo più interessante il discorso sui formati, i mezzi e le tecniche di ripresa; ma Suspension of Disbelief non manca di charme, di finezze, di acume – per esempio il finale all’aeroporto (che riprende il discorso sui film di Bogart, all’inizio) e seppur appesantito da ambizioni teoriche non del tutto necessarie, è un’opera intrigante anche grazie alla solidità recitativa di Sebastian Koch e al suadente duetto di protagoniste, Lotte Verbeek e Rebecca Night.
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