C’è anche chi come Alessandro Gassman per esordire non va poi tanto sul sicuro. E’ vero che Razzabastarda, presentato nella sezione Prospettive Italia al festival di Roma, nasce da un’opera teatrale di successo, ma è pur vero che adattarla non è un gioco e che l’opera in sé, per temi e toni è un discreto schiaffo allo spettatore.
Gassman è anche interprete nel ruolo di Roman, uno spacciatore romeno di sangue gitano (da qui il titolo), che fa di tutto per tenere il figlio, il “cucciolo Nicu” di seconda generazione, lontano dalla droga e dai guai. E per farlo cerca di mettere su il colpo di una vita. Scritto da Gassman con Vittorio Moroni a partire dalla pièce di Reinaldo Povod adattata da Edoardo Erba, Razzabastarda è una tragedia urbana e sottoproletaria, arrabbiata, fisica e disperata, non senza una vena d’ironia e di disperata tenerezza.
Ambientato nella periferia più degradata di Latina, il film è uno spaccato contemporaneo, che guarda tanto all’Odio di Kassovitz quanto alla tv cinica di Ciprì e Maresco, narrato con gli occhi di un uomo buono e pessimo, dal disperato bisogno di affetto e dalla profonda tristezza nei confronti di ciò che non può dare al figlio (“Io vivo perché tu sia felice”, gli dice): Gassman racconta – in modo tanto vicino e tanto lontano da Alì ha gli occhi azzurri di Giovannesi, in concorso qui il festival – la situazione drammatica e problematica di chi vive ai margini attraverso un doppio adattamento, riuscito in entrambi i casi: da una parte, portare la realtà dei cubani di New York fino alla periferia laziale adattandola a una drammaturgia italiana venata di umorismo amaro, dall’altra portare il palcoscenico sul grande schermo dando forza alla ricerca estetica (bianco e nero magnifico di Federico Schlatter con esoterici inserti di colore).
Ne esce un film sorprendente, coeso con la realtà che vuole raccontare ma capace di trasfigurarla con lo stile, che specifica i contesti grazie alla narrazione e che sa vivere della fisicità sottoproletaria dei suoi protagonisti. Certo, se fossimo in un paese dalle diverse abitudini cinematografiche, Razzabastarda sarebbe stato più violento e duro, più coraggioso in certi passaggi, ma resta comunque – specie alla luce del finale – un’opera dal respiro e dalla cupezza inconsueti, che Gassman interpreta con la sicurezza incredibile di un ruolo che si è portato per anni e che trasmette al giovane Giovanni Anzaldo, all’irresistibile Manrico Giammarota e a una sontuosa Madalina Ghinea. Fenomenale, come sempre, il cameo di Michele Placido. Una sorpresa che ancora dobbiamo capire perché non è in concorso.
Il festival è agli sgoccioli: i vincitori e le ultime novità solo su Screenweek.