La scuola è negli ultimi anni uno dei terreni più fertili e oscuri su cui coltivare cinema in Giappone, come dimostrano il bellissimo Confessions di Nakashima o il recente Penance di Kurosawa. Prosegue, come in una sorta di ideale trilogia, Lesson of the Evil, nuovo film di Miike Takashi, regista di culto per molti cinefili, che inaugura il concorso del 7° festival internazionale del film di Roma.
La vicenda ha per protagonista un professore modello, intelligente bello e amato dai suoi studenti, ma che nasconde più di un segreto, uno dei quali lo lega a una misteriosa scia di suicidi nella precedente scuola dove insegnava. Scritto dallo stesso Miike a partire da un romanzo di Kishi Yosuke, Lesson of the Evil (in italiano, ufficiosamente Il canone del male), è un thriller macabro e violento, spietato ma anche ironico che sembra una versione scolastica di American Psycho.
Attraverso la figura di Hasumi (azzeccatissima la scelta del carismatico Ito Hideaki), Lesson of the Evil scava dentro il male che si annida in ogni essere umano, arrivando a darne una lettura quasi metafisica nella prima parte, prima di sfociare in un lungo finale esplosivo, dove il paradosso, la follia e la raffinatezza di Miike prendono il sopravvento, come dimostra l’uso ripetuto dell’Opera da 3 soldi di Brecht e Weil in colonna sonora: se i fan del regista possono essere soddisfatti per la generosa dose di sangue e di violenza sparsa (in particolare, l’uso di una pistola saldatrice), si stenta però a trovare qull’occhio clinico e chirurgico che da sempre contraddistingue il cinema del giapponese.
Maturato come narratore e come metteur en scene, nella scelta di una struttura più sobria, quasi classica che si rifà alle complesse trame del cinema orientale degli ultimi tempi, Miike sembra però un po’ più convenzionale del solito, pur nei limiti del suo occhieggiare, facendo sembrare questa lezione del male un variante più accelerata ma non meno “standard” di un qualunque omologo americano, minaccia di seguito compresa. Nulla di male, e il suo dovere il film lo fa. Solo che rischia le corde della monotonia, cosa che con Miike non era mai accaduta.
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