Terzo e ultimo film in concorso al festival del film di Roma, E la chiamano estate è anche il terzo film del regista Paolo Franchi, regista del controverso Nessuna qualità agli eroi: una storia sessuale e intima che però non trova la giusta direzione né forma visiva.
La storia è quella di Anna e Dino, una coppia solida ma che non ha rapporti sessuali per causa di lui, che preferisce le prostitute e le coppie di scambisti. Questo scontro tra eros e amore porterà l’uomo a un ripensamento dolorosissimo della propria vita. Scritto da Franchi con Daniela Ceselli, Rinaldo Rocco e Heidrun Schleef, E la chiamano estate (dalla celebre canzone di Bruno Martino) è un dramma erotico ed esistenziale che cerca il nume tutelare di Antonioni ma che si arena nell’impossibilità di far coincidere le cose da dire con il giusto modo per dirle.
Come una sorta di incrocio tra Shame e il sottovalutato L’odore del sangue di Martone, il film racconta l’abisso sessuale di un uomo “diversamente impotente”, incapace di amare sessualmente o di fare sesso amando, in modo allo stesso tempo disperato ed esplicito, cercando nei corpi nudi e nei rapporti carnali la chiave per capire una sorta di anaffettività in cui la vera protagonista forse è propria la donna amata, vittima di una situazione paradossale che non può affrontare. Temi e immagini che non fanno parte del background del cinema italiano e che Franchi ha il coraggio di portare alla luce: ma nel cinema, come in ogni forma di arte, il come conta come e più del cosa.
E il come del film è preoccupante: fermo a un’idea di cinema d’autore di 40 anni fa, il regista fatica sempre di più a dare una precisa forma, si lascia andare a facili manierismi, come la casa, simbolo di un’intimità falsamente immacolata, ripresa in accecante bianco flou, indugia sui corpi e sul sesso e diventa via via più goffo nel voler cercare un mélo che sia anche artisticamente significativo ma naufragato in bruttissimi dialoghi. Ambizioni, quelle di Franchi, che diventano moralismo presuntuoso, ma anche segno di un’evidente mancanza di completezza registica, come dimostra la scelta sbagliata del protagonista Jean-Marc Barr o la totale evanescenza di Isabella Ferrari. Finora il peggior film del concorso, e forse del festival.
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