Roma 2012: Celestial Wives of the Meadow Mari, la recensione del film di Fedorchenko

Roma 2012: Celestial Wives of the Meadow Mari, la recensione del film di Fedorchenko

Di emanuele.r

Ventitre donne accomunate dalla lettera O, ma anche dalla forza della femminilità, sono al centro di Celestial Wives of the Meadow Mari, il nuovo originalissimo film di Aleksey Fedorchenko presentato con successo e applausi in concorso al 7° festival del film di Roma.

Tratto dalla raccolta di racconti di Denis Osokin, il film mette insieme i ritratti e le storie di queste donne all’interno della regione autonoma del Marij El, un luogo magico in cui la vita quotidiana è ancora legata a presenze arcaiche e mitologiche. Un racconto corale, un Decameron dall’Arcadia russa quello scritto dallo stesso Osokin e che Fedorchenko declina in chiave di commedia mistica e sensuale.

Quello di Celestial Wives è come un viaggio in un luogo e in una cultura sconosciuti anche agli stessi russi che già informava di sé il precedente film del regista, Silent Souls, che porta lo spettatore – a cui non neghiamo che servirà un po’ di tempo per entrare nell’umore del film – in una terra davvero straordinaria in cui la quotidiana banalità si mescola con una realtà in cui alberga lo spirito, la magia e soprattutto la forza di una natura che totalizza gli umani, quasi come una divinità (l’importanza della betulla e del bosco); Fedorchenko usa i racconti e le superstizioni esattamente come i greci usavano il mito, per raccontare, spiegare e capire l’essere umano, ma soprattutto per innalzare un inno alla vita che passa necessariamente per la donna e il femminile in genere, sia esso un albero, il cibo o (soprattutto, vista la passione del registe per le abbondanti forme) il sesso.

Di conseguenza, anche la regia sporca la preziosa resa visiva solita, radicalizza lo spirito e lo sguardo e si pone nell’esatta congiunzione tra realismo all’europea e surrealtà, tra minimalismo delle cose e surrealismo magico, aiutata dalla fotografia di Shandor Berkeshy e dalle musiche sospese di Andrey Karasev che rendono indimenticabili scene come quella del disseppellimento del marito morto o del ballo degli zombie. Spiazzante e folle, bizzarro e irreale, ma anche capace di trascinare lo spettatore con piccoli tocchi, di rendere lo spirito di un popolo e delle sue donne, di commuoverlo delicatamente, senza accorgersene. Magia di un cinema giustamente diverso.

Se volete sapere tutto dal festival di Roma, restate su Screenweek.

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