Tra i titoli più attesi in concorso al 7° festival del film di Roma, A Glimpse Inside the Mind of Charles Swan III è il secondo lungometraggio di Roman Coppola dopo CQ e ha fatto parlare di sé soprattutto per il ritorno sul grande schermo (e in grande stile) di Charlie Sheen. Ma anche perché è un piccolo gioiello.
Come fa intuire il titolo, il film getta una sguardo nella vita, e nella mente, di Charles, un disegnatore che ha da poco rotto con la donna della sua vita rischiando di rovinare tutta la sua esistenza. Riuscirà a uscirne indenne con l’aiuto dell’amico Kirb e della sorella Izzy? Scritto dallo stesso Coppola, A Glimpse Inside the Mind of Charles Swan III è una commedia esistenziale scoppiettante, una versione cinica e maliziosa del cinema di Wes Anderson che pare un remake della Città delle donne di Fellini o dell’Uomo che amava le donne di Truffaut se i due registi fossero devoti al pop americano.
Coppola racconta la crisi di mezz’età di un fallito di successo attraverso le sue fantasie, i sogni e gli incubi, ma soprattutto i desideri inespressi che prendono le forme del musical e del balletto, del cinema, dell’immaginario kitsch, vintage e indie che il film distilla per dare un vestito scintillante alla tristezza del protagonista; la quale però non può fare a meno di emergere dal confronto con gli altri, con chi lo circonda e ha commesso l’errore di credere in lui (“Ora non mi resta più nulla” dice Charles dopo la morte del suo tucano).
Lievemente, ma bonariamente misogino, A Glimpse Inside the Mind of Charles Swan III è un frullato forse sovraccarico ma spesso divertente e inventivo, originale con tocchi fulminanti (lo sketch della squadra anti-SSRB, la Squadra Segreta delle Rompi Balle) che diventa un romanzo di formazione tardiva, un ultimo afflato – forse autobiografico – di dignità che Charlie Sheen interpreta alla grande e che non a caso si chiude, fellinianamente, come la parata di 8 e 1/2. Forse troppo esplicito e consapevole per colpire davvero, ma anche una boccata di vitalità grazie anche al country ebraico di Jason Schwartzmann, al sempre grandioso Bill Murray e alla colonna sonora (la migliore del festival finora) di Liam Heyes e Roger Neill.
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