La collina dei papaveri, la recensione del film di Goro Miyazaki

La collina dei papaveri, la recensione del film di Goro Miyazaki

Di emanuele.r

E intanto lo studio Ghibli non sbaglia un film, parafrasando un album di Luca Carboni: dopo il bell’Arrietty, (presentato al Festival di Roma nel 2010, come questo nel 2011), è arrivato nelle sale, per un solo giorno (il 6 novembre), il secondo film di Goro Miyazaki: figlio di Hayao, maestro e ispiratore dei film della casa d’animazione, il regista di La collina dei papaveri (From Up on Poppy Hill) fa dimenticare la delusione del precedente I racconti di Terramare con una storia vibrante e ricca di suggestioni.

Protagonista è Umi, una ragazza che si occupa con cura di tutte le sorelle dopo la morte del padre e la lontananza della madre: a scuola, incontra Shun, un intraprendente ragazzo attivo nel movimento per la salvaguardia del Quartiere latino, centro di tutte le attività extra-scolastiche. Frequentandosi nel movimento, cominciano a innamorarsi, ma un segreto rischia di dividerli. Commedia sentimentale e dramma animato si fondono nella sceneggiatura di Hayao e Keiko Niwa, tratta dal manga per ragazze di Tetsuro Sayama e Chizuru Takahashi, che racconta una storia d’amore, amicizia e impegno in un contesto storico interessante.

Infatti il film è ambientato nella Tokyo del ’63, un anno prima delle Olimpiadi che incarnarono la svolta storica per la città, e mette in scena la contrapposizione tra il progressismo urbanistico che voleva fare piazza pulita dei vecchi edifici e il desiderio di memoria storica dei giovani studenti, tra il futuro che guarda a occidente e il passato del Sol Levante: ma Miyazaki sa anche raccontare lo sbocciare dei sentimenti, le titubanze, le speranze e le delusioni dell’amore e della famiglia con un bel tono gentile, restituendo la sensibilità femminile (e femminista) del fumetto di partenza.

Il regista sa mescolare e fondere i registri con l’emozione appena accennata dell’adolescenza, fa un film adulto e a suo modo complesso nei colori pastello tipici dello studio, ma soprattutto realizza un’operazione impensabile per il cinema d’animazione occidentale, ossia un film in costume che affronti la Storia senza alibi fiabeschi, ma utilizzando il disegno non come fine commerciale, ma come mezzo espressivo. Un altro piccolo colpo al cuore da parte dei creatori di Totoro La città incantata.

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