Per gli appassionati di tv e serie di più lunga data è lui il vero divo della manifestazione: Kelsey Grammer, straordinario interprete di Frasier e Cin cin passato da re della commedia alla durezza di Boss, dramma politico targato Starz da domani in onda su Rai 3 per cui ha vinto il Golden Globe. Oltre a presenziare alla presentazione del pilot della serie, diretto da Gus Van Sant, Grammer ha incontrato il pubblico in una mastercass molto bella in cui ha raccontato l’evoluzione e la nascita della serie.
“Shakespeare è stata la principale fonte d’ispirazione per Boss, volevamo con il creatore Farhad Safinia creare una versione contemporanea di King Lear e quel genere di tragedie in cui il personaggio parte dal basso per trovare la propria umanità perduta, prima di morire, possibilmente. E poi, visto che il protagonista si chiama Kane, abbiamo omaggiato il Citizen Kane di Welles, con tanto di Rosebud“. Grammer, che come produttore della serie ha scelto Van Sant per il modo semplice e istintivo di girare e perchè il regista aveva voglia di lavorare in tv: “scrittori e registi di un certo tipo lavorano spesso in tv perché c’è più libertà. Nel cinema devi per forza guadagnare e sei fai un film a basso budget lo vedono pochissimo persone, per cui tutto è un rischio. Quindi se vuoi raccontare una storia da meno di un milione di dollari, il tuo posto è la tv”.
Fiero delle sue matrici conservatrici, fautori dei diriti dell’individuo contro il sistema pubblico, Grammer ha anche raccontato il suo punto di vista politico sulla serie: Tom Kane ama se stesso e il potere, ama ciò che è l’America ed è convinto che gli americani adorino essere guidati e condotti da un leader. Si spera non corrotto come la giunta di Chicago: “I due ultimi sindaci di Chicago erano preoccupati che Boss potesse parlare di loro, ma quando si sono accorti che non era così sono rimasti delusi. E’ stato buffo vedere come molti assessori pur di riconoscersi in Kane ammettessero le peggiori nefandezze”. E lancia poi una frecciata ad Aaron Sorkin e al suo The Newsroom: “Quella serie e quei personaggi riflettono la visione di Sorkin. Noi vogliamo raccontare una storia interessante e magari far riflettere, non vogliamo cambiare l’America”.
Prima dell’applauditissima masterclass però, siamo riusciti a scambiare due chiacchiere con Grammer, uomo colto, affascinante e affabile, capace di dialogare con pubblico e giornalisti allo stesso modo in cui affabula sullo schermo.
Kane in Boss è un personaggio fosco e violento, nerissimo, ma che lo spettatore non può fare a meno di seguire e sentire vicino. Come fa un attore e produttore a giocare su questo equilibrio?
Come si diceva parlando di Shakespeare la tragedia è proprio prendere il peggiore dei personaggi possibili e farlo redimere, o perlomeno mostrarne il cuore, l’umanità, alla fine della tragedia. Riccardo III per esempio. Kaen segue quella scia: all’inizio è un vero e proprio stronzo, ma piano piano si scoprono i punti mancanti della sua vita, soprattutto gli affetti. Quando tradisce la figlia con cui ha un difficile rapporto, quello è Re Lear che bandisce Cordelia, nulla viene dal nulla, ma poi arriva il seme di nobiltà de personaggio, nel momento in cui la malattia e chi lo circonda gli remano sempre più contro.
Dopo 20 come re della sitcom americana e i tentativi di tornare sulla cima di quel regno, come ha capito che era il momento di cambiare aria e passare al drama?
Dopo Frasier e Cin Cin, che sono rimasti indelebili nella tv, ho provato a tornare a fare comedy, come in Back to You, che era molto carino ma che ha pagato lo sciopero degli sceneggiatori e la difficoltà del pubblico ad accettare che un attore di cui è affezionato cambi ruolo. E poi con Hank avevamo proprio sbagliato formula, la serie non era divertente ed era durato pochissimo. Così, mentre ero a teatro a Broadway ho sentito la necessità di radicalizzare la voglia di fare sempre cose diverse. E allora ho cominciato a lavorare in questo senso ed è arrivato Boss.
Un incontro bello, di quelli che arricchiscono lo spettatore e anche il giornalista, uno di quei casi in cui la stima per un artista scivola in quella per l’uomo. Commentate l’articolo e restate su Screenweek con tutte le news dal Roma Fiction Fest.