Quando si ha a che fare con una cinematografia emergente, come può essere quella romena, capita spesso di imbattersi in opere insolite, intente a ritrarre la realtà di un luogo e del suo popolo con un coraggioso e spesso ostinato piglio d’autore, con simbolismi molto accentuati e ritmi che non si curano per nulla della propria dilatazione. Questo sembra grosso modo anche il caso del film Oltre le colline, di Cristian Mungiu, che si è distinto all’ultimo festival di Cannes dove ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura e la miglior interpretazione femminile delle due protagoniste, Cristina Flutur e Cosmina Stratan. In realtà, ci sembra che nonostante la buona recitazione e la bella fotografia, Oltre le colline non riesca davvero a portare con sé uno sguardo fresco e nuovo, ricalcando alcuni schemi già ben noti del cinema di denuncia e lasciandosi appesantire da una ridondanza estenuante, che forse ricalca l’ostinatezza e la propensione al martirio dei personaggi, ma non aggiunge davvero molto al senso già palese del racconto.
La storia è quella dell’amore (platonico?) tra due ragazze cresciute nello stesso orfanotrofio, i cui percorsi di vita sono stati però divisi dagli eventi. Dopo essere stata adottata, e sfruttata, da una famiglia di sanguisughe, Alina è emigrata in Germania, dove ha fatto di tutto per preparare una via di fuga a lei e alla sua amica del cuore, Voichita. Quando torna in Romania a prenderla, Alina scopre tuttavia che la sua compagna ha rinunciato a tutto, anche al loro sentimento reciproco, per dedicarsi completamente a Dio in un monastero ortodosso incredibilmente rigido, dove si conduce una vita preindustriale e dove i non credenti non sono visti di buon occhio. Comincia così una lenta tragedia, in cui le due ragazze finiranno per scambiarsi i ruoli. L’atea e riottosa Alina si sottoporrà a un vero e proprio martirio pur di aprire la mente della sua amica, mentre Voichita imparerà a vedere la trave che si nasconde anche negli occhi di chi guarda solo a Dio.
Non è certo la prima volta che il cinema d’autore affronta il tema della brutalità e dell’intolleranza a cui può condurre il fondamentalismo cristiano, anche se in questo caso di un Cristianesimo di solito meno in vista rispetto a quello di Santa Romana Chiesa. Fatto sta che i meccanismi di denuncia sono sempre gli stessi (pensiamo all’esempio abbastanza recente di Magdalene): una figura esterna viene introdotta a forza nel microcosmo chiuso, sconvolgendone gli equilibri e smascherandone l’ipocrisia e l’incapacità di includere il diverso, di sopravvivere appunto “Oltre le colline”. In più, in questo film, Cristian Mungiu aggiunge anche una critica sociale allo stato del suo Paese, abbandonato da ogni tipo di istituzione. Tutto rimane però a livello abbastanza didascalico, si affida a una trama che ruota continuamente intorno allo stesso fulcro, senza smuoverlo in maniera determinante. All’inizio sembra trattarsi quasi di ingenuità, ma lo sguardo sempre più distaccato e ricco di biasimo della regia, come di Voichita, fa trapelare una stigmatizzazione scontata, che non lascia molti margini di autonomia allo spettatore e rende perciò l’accusa ancora meno travolgente. Aggiungiamoci la durata di quasi tre ore, e avremo un tipico film dalle altissime pretese autoriali ma di scarsa originalità, salvato giusto dalla cura estetica e dal tema inusuale.
Oltre le colline è da oggi nelle sale italiane, distribuito da BIM.