Nashville, il commento alla nuova serie con Connie Britton

Nashville, il commento alla nuova serie con Connie Britton

Di emanuele.r

Nashville, come raccontò Robert Altman nel suo grande film, è la capitale della musica country americana, ma anche un luogo dove le pulsioni profonde del popolo americano arrivano a diventare materia di scontro politico. In questo contesto, e a partire da queste riflessioni, ABC ha fatto esordire un paio di settimane fa una serie che prende il titolo proprio dal nome della capitale del Tennessee.

Protagonista è Rayna, diva della musica country, si vede in difficoltà quando i suoi dischi e i suoi concerti crollano nelle vendite. L’idea della sua etichetta è quella di affiancarla alla nuova diva del teen-country, l’odiosa Juliette. Rayna è tutt’altro che d’accordo, ma non ha molte scelte.

Creata da Callie Khouri, che ne ha scritto il pilot diretto da R. J. Cutler, Nashville è un drama con canzoni, lontano dall’aura musicale di Glee o Smash e più vicino a film “politici” come Bob Roberts o Bulworth, centrati sul rapporto tra musica e politica, i due poli della serie.

Tema principale è ovviamente lo scontro tra nuovo e vecchio, tra la vecchia volpe e la nuova iena, che coerentemente con l’ideologia country è insopportabile e cattiva come in una soap, facendo preferire allo spettatore il good old style, dietro a cui si nasconda il racconto dell’industria discografica del genere, che viva si dinamiche peculiare, ma non troppo diverse; parallelamente, c’è la politica col marito di Rayna che scende a patti con l’odiato suocero per aiutare la moglie a tirarsi fuori dal nuovo progetto che non vorrebbe affrontare, e decide di candidarsi come sindaco, dando il là a un finale di pilot che si configura come un possibile The Good Wife in chiave country-folk.

Nashville è un discreto prodotto che cerca di far convivere la complessità di un prodotto via cavo con l’immediatezza sentimentale (anche eccessiva) di uno scontro un po’ manicheo: la sceneggiatura si barcamena tra ironia (“Grazie a Dio c’è Auto-tune”), belle canzoni – o comunque ben scritte e funzionali – e snodi narrativi semplicistici (come Juliette che cerca di rubare col sesso tutto l’entourage di Rayna, dal chitarrista e autore al produttore, dopo averla sentita parlare male di lei). Mentre la regia avrebbe bisogna di più grinta, più cattiveria, per risultare davvero convincente: però lo scontro (impari, onestamente) tra la bravissima Connie Britton e Hayden Panettiere è un buon motivo per dargli perlomeno un’altra occhiata.

Avete già visto Nashville e cosa ne pensate? Commentate l’articolo e rimanete su Screenweek per commenti, recensioni e approfondimenti dal mondo della tv.

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