Venezia 69: The Master, la recensione in anteprima

Venezia 69: The Master, la recensione in anteprima

Di emanuele.r

Attenzione: l’articolo può contenere spoiler.

Il weekend di ogni festival maggiore è quello in cui si sparano le prime, micidiali cartucce del programma. La 69^ Mostra del Cinema di Venezia non fa eccezione: è arrivato oggi 1° settembre il momento del film in assoluto più atteso della rassegna, per giunta in concorso, ossia The Master, nuovo film di Paul Thomas Anderson a 5 anni circa di distanza dal precedente Il petroliere.

Il film, che come si sa è ispirato alla figura di Ron Hubbard, creatore di Scientology, racconta il rapporto tra Freddie, un uomo sbandato e aggressivo, reduce traumatizzato dalla 2^ guerra mondiale, e Lancaster, misterioso maestro di un culto, di una setta – La causa – che accoglie Freddie cercando di plasmarlo al suo credo. Scritto come sempre dallo stesso Anderson, il film è un dramma mentale che però non diventa una biografia, per quanto sotto falso nome, di Hubbard e del suo impero (sebbene Tom Cruise non abbia gradito, pur restando amico del regista), ma è una riflessione sul rapporto tra l’uomo e l’autorità.

The Master racconta la sottile tragedia di due uomini ridicoli contornati di un’umanità dello stesso tipo, che cercano il loro posto nel mondo e possono trovarlo solo mettendo in atto le dinamiche dell’autorità sociale: Freddie è come un randagio che il padrone cerca di addomesticare, facendosi difendere, disperando di poterlo “educare” , ma anche consapevole che nonostante le apparenze, il lavoro di costruzione di un’identità cerebrale passa anche dai tentativi di ribellione e non può che concludersi con la liberazione quando l’allievo è pronto per diventare maestro. Anderson non vuole decostruire la mitologia della setta né distruggere la figura del profeta che ammanta di irrisolto mistero, ma semplicemente riflettere attraverso l’allegoria sul rapporto americano tra l’individuo e il potere, la lotta per non lasciarsi schiacciare ma anche il bisogno di farsi comandare (la nave, luogo simbolo del film), abbandonarsi a quelle pulsioni che è necessario gestire.

Anderson mostra nella scrittura la tensione morale e sociale del grande romanzo americano classico, come un Grande Gatsby al contrario, sa piazzare acute notazioni antropologiche (la comunicazione della Causa, la sorveglianza) per realizzare molto più interiore, cerebrale e sottile – qualcuno potrebbe dire troppo – del solito, che implode in scene a loro modo epiche come la “riabilitazione” di Freddie e che stilisticamente si struttura sulla capacità degli attori di togliere il respiro: Philip Seymour Hoffman e Joaquim Phoenix sono incredibili e vibranti per tutte le 2 ore e 20 e la scena della procedura informale toglie il fiato. Un film complicato sotto l’apparenza lineare, ma notevole.

Anche quest’anno ScreenWeek.it è in Laguna e seguirà da vicino la 69° edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Cliccate sul riquadro sottostante per leggere tutte le news dal Festival e le recensioni. Seguiteci inoltre su Twitter e Instagram grazie alla tag #Venezia69SW.

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