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Venezia 69: Love is all you need – Recensione in anteprima.

Pubblicato il 03 settembre 2012 di laura.c

Una commedia romantica, con un titolo del genere, non evoca esattamente i migliori presagi. Viene quasi da sperare che si tratti di un velato omaggio ai Beatles, invece si tratta esattamente del solito intreccio amoroso, con le solite dinamiche e perfino con i soliti attori, nonostante sia un film danese diretto dalla regista premio Oscar Susanne Bier. Protagonista maschile di Love is all you need è, infatti, quel  Pierce Brosnan che ha sempre funzionato perfettamente nel ruolo di grande ammaliatore del pubblico femminile, ma che ormai ha perso ogni sorpresa e ogni freschezza, soprattutto da quando gli affibbiano il compito di suscitatore i romantici  sospiri di signore non più nel fiore degli anni. Per come è costruito, il film di  Susanne Bier, presentato fuori concorso alla 69. Mostra del Cinema di Venezia, sembra tra l’altro una versione scandinava di Mamma Mia!, solo ambientata in Italia invece che in Grecia, senza musica ma in compenso con il dramma della malattia a rendere tutto più sdolcinato e lacrimevole.

La storia è quella dell’incontro-scontro di due futuri suoceri in occasione del matrimonio dei loro pargoli, prossimi a convolare a nozze nel romantico e folkloristico scenario di Sorrento. Lui, il padre dello sposo (Pierce Brosnan) è un ricco vedovo inglese di mezza età che non ha mai superato il trauma della perdita della moglie. Lei (Trine Dyrholm), è un’umile parrucchiera che non solo lotta contro il cancro, ma è stata lasciata dal marito in modo brutale. Apparentemente nulla sembra legarli, tanto che le loro prime interazioni sono disastrose. Ma scoprendo pian piano le rispettive fragilità cominceranno a guardarsi con occhi diversi, fino a sembrare molto più affiatati dei giovani futuri sposi, attanagliati da mille dubbi e mille problemi. Il tutto ovviamente condito da una serie interminabile di tramonti, dalle inquadrature di mare, alberi e sole, da scene con tanto vino e da quelle accompagnate nientemeno che dall’ “originalissima” That’s amore di Dean Martin.

Come se non bastasse una visione dell’Italia che non sembrava così stereotipata nemmeno in quei film americani degli anni d’oro con la Loren e la Lollo, Love is all you need è costruito e scorre in maniera assolutamente banale, prevedibile, intrisa di un buonismo anche invadente. Se, in superficie, può piacere la figura della donna ferita nell’animo e nella femminilità dal tumore, e che trova la forza di continuare a vivere e amare, dall’altra stupisce come il cancro venga usato per caratterizzare in modo totalizzante un personaggio per il resto molto scialbo e stereotipato. Tipico caso in cui la malattia, così come la vedovanza e la sofferenza in generale, viene impiegata in modo ricattatorio, evitando agli autori lo sforzo di trovare motivazioni più profonde e meno automatiche ai personaggi. Davvero un film senza alcuna gloria, e totalmente inspiegabile nella selezione ufficiale del festival.

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