Mentre in Italia e un po’ in tutto il mondo si discute sull’eventualità di far sposare gli omosessuali, in America e precisamente su NBC, la scorsa settimana ha esordito The New Normal, la nuova comedy creata da Ryan Murphy (Glee, American Horror Story) e Allison Adler (anche lei nello staff di Glee) che racconta della voglia di paternità di una coppia gay.
Protagonisti della storia sono David e Bryan, coppia felice a cui manca solo la gioia di un bambino, così si attivano alla ricerca di una madre surrogato. E trovano Goldie, giovane ragazza madre, asfissiata dalla nonna razzista e tradita dal ragazzo, che vuole rendere felice qualcuno che ha scelto di essere ciò che è senza vergogna.
Nel pilota scritto dai creatori Murphy e Adler (entrambi coppia gay attiva nelle battaglie per il diritto ad avere figli), la comedy moderna che guarda evidentemente a Modern Family si sposa coi toni zuccherosi e con lo stile di Glee .
Aperto dal video che Bryan gira per la figlia e poi raccontato in flashback, The New Normal mette in scena una tipica morale di molta narrativa audiovisiva americana degli ultimi anni che vede i film Disney come capofila, ossia il diritto di ognuno a essere ciò che si è senza dover chiedere scusa, senza subire discriminazioni, senza dover passare dal giudizio dei “diversi”, ma anche, rincarando la dose sul conformismo di base, sull’importanza della famiglia di qulunque tipo e specie per potersi dire realizzati con se stessi.
Messi da parte i nodi morali e umani dell’ideologia che lo regge, The New Normal, che deve il suo titolo a una frase di David (“Anormale è il nuovo normale”), è una tipica commedia familiare del nuovo millennio, basata su personaggi eccentrici e adorabili, come la segretaria nera “metà giraffa e metà drag-queen” o la nonna odiosa ma che sai che prima o poi si farà amare, come una versione glam di Sue Sylvester. Rassicuranti stereotipi, come la coppia gay macho e gay effeminato, che però la sceneggiatura e la regia non sanno ravvivare del tutto, limitando al minimo tanto le risate quanto la possibilità di riflessione.
E così resta una serie fin troppo placida, superficialmente piacevole, ma anche spenta, inondata di uno zucchero che non può equilibrare un cliffhanger finale falso, visto che lo stato interessante di Goldie fa parte dello stesso soggetto della serie, oltre che 3 secondi dopo l’episodio parte un promo in cui tutto è rivelato. Detto questo, Murphy (anche alla regia) sa lavorare con gli attori, e se Ellen Barkin mostra una professionalità sopra la media, Justin Bartha e Georgia King sprigionano tenerezza a ogni inquadratura. Verrebbe voglia di guardare la serie solo per loro.
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