Reality di Matteo Garrone – La recensione

Reality di Matteo Garrone – La recensione

Di laura.c

Uno sguardo che cade dall’alto su una carrozza con i cavalli bianchi, che attraversa le strade asfaltate di una città di oggi mentre la musica conferma l’atmosfera fiabesca. Sembra irreale, e invece è una rappresentazione nemmeno troppo esagerata di un sontuoso matrimonio del Sud. Se alla macchina da presa non ci fosse Matteo Garrone, il regista di Gomorra, potremmo pensare che si tratti di una commedia grottesca, e invece è Reality, film che ha ricevuto il Gran Premio della Giuria all’ultimo festival di Cannes, e che intende esplorare un altro lato della nostra società, meno roboante di quello mostrato nell’opera precedente dell’autore, ma con una presa comunque molto forte sul mondo che esiste al di fuori del grande schermo. L’idea di partenza, tratta da una storia vera, è molto semplice ma anche incisiva: un uomo come tanti, un pescivendolo napoletano apprezzato da amici e parenti per le sue doti comiche (Aniello Arena), partecipa alle selezioni per entrare al Grande Fratello. Convinto di aver fatto un’ottima impressione, aspetta con ansia la chiamata del programma, ma quando questa non arriva, non si rassegna all’evidenza e comincia a pensare di essere spiato dalla trasmissione, come in una sorta di surreale provino permanente. Comincia così il lento e inesorabile distacco da una realtà che per lui perde ogni significato, finendo per diventare solo il palcoscenico di una costante e buffa rappresentazione di un sé immaginato.

Nonostante Reality abbia visto la collaborazione di ben quattro sceneggiatori (Maurizio Braucci, Ugo Chiti, lo stesso Garrone e Massimo Gaudioso), il film mostra una certa difficoltà a sviluppare lo spunto di partenza. L’incipit è molto forte, ma scegliendo di concentrarsi sul ritratto sociale piuttosto che sull’esplorazione dei recessi di una mente plagiata dal mezzo televisivo, l’opera non riesce a scavare in profondità. Rimane in superficie, estetizza, alleggerisce: per fortuna non scade nel patetismo televisivo, ma non affonda neppure i denti nella sua storia o nel dramma umano del suo protagonista, Luciano. Un personaggio che ha l’innegabile e apprezzabilissima dote di non essere mai sopra le righe (il che per il cinema italiano è una virtù ancora più ammirevole), ma che allo stesso tempo sembra essere al centro di una riflessione estetica, piuttosto che di un racconto incentrato su di lui. Garrone, d’altra parte, non è regista di “storia”: il lato visuale di Reality, come di altri suoi film, predomina in modo abbastanza chiaro su tutto il resto, a partire dall’inquadratura area iniziale della carrozza, fino ad arrivare a quella speculare alla fine, che ci mostra il culmine del distacco dalla realtà, in cui Luciano non entra semplicemente nel mondo di finzione del Grande Fratello ma diventa tutt’uno con la finzione stessa di un piccolo paradiso artificiale, luminoso e vuoto, circondato da una realtà immensa, oppressiva e buia.

Peccato solo che questa bella (nel senso di piacevole da vedere ma anche pregnante) riflessione di Garrone, si esplichi soprattutto in queste due sequenze di apertura e di chiusura, lasciando il resto del film in mano a intuizioni registiche non sempre in grado di sottolineare il gioco di alternanza tra ciò che è vero e ciò che è un sogno, per quanto sogno indotto e sognato collettivamente. Rimane comunque un ottimo film sui ruoli che la nostra società ci impone obbligatoriamente di recitare ogni giorno, e sulla tragedia di un uomo che cerca di passare da semplice comparsa a protagonista della propria esistenza, rimanendo prigioniero nelle maglie di questo spettacolo grottesco e inesorabile che può essere la vita.

Reality è nelle sale da oggi, venerdì 28 settembre. Vi ricordiamo che QUI potete trovare il nostro reportage dell’incontro con il regista, Matteo Garrone, mentre per conoscere le news sul film cliccate sulla scheda sottostante.

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