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Venezia 69: The Reluctant Fundamentalist – Recensione in anteprima

Pubblicato il 29 agosto 2012 di laura.c

Il terrore, la paura dell’altro, l’improvviso insinuarsi del sospetto nei confronti del diverso, l’innalzarsi di muri laddove prima esistevano labili confini: tutto ciò è la pesante eredità lasciata al cosiddetto “Nord del Mondo” dal crollo delle Torri Gemelle, e questo è anche il clima di intolleranza e costante tensione che la regista indiana Mira Nair ha voluto rievocare nel suo film, The Reluctant Fundamentalist, che oggi ha aperto la 69ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia, con un tuffo in quelle ansie e quei nodi che, a quasi undici anni dal fatidico 11 settembre, continuano a rimanere irrisolti, magari surclassati dall’emergere di nuovi temi di interesse internazionale come la crisi economica. Ecco perché Mira Nair, Leone d’oro proprio nel 2001 con Monsoon Wedding e già autrice di uno degli episodi di 11 Settembre 2001, ha voluto riportare alla luce in maniera forte e decisa la questione, prendendo spunto da un libro di  Hamid Mohsin.

L’idea è quella di mettere a nudo fino in fondo il percorso che può portare un giovane pachistano di belle speranze, laureato negli Stati Uniti e scelto per un lavoro di prestigio a Wall Street, ad avvicinarsi agli ambienti fondamentalisti fino a essere coinvolto (si scoprirà solo alla fine se direttamente o indirettamente) nel rapimento di un ostaggio americano a Lahore. Attraverso il dialogo tra il giovane Changez Khan (Riz Ahmed) e uno scrittore statunitense esperto di movimenti fanatisti all’interno degli ambienti universitari pachistani (Liev Schreiber), la regista mette in scena l’intolleranza, l’incomprensione e la chiusura che hanno portato gli Stati Uniti a respingere anche i proseliti più convinti dell’American Dream, così come una serie di temi collaterali di enorme portata.

C’è la riflessione sulla crisi identitaria innescata in popoli e Paesi aggrediti dal soft power degli USA, quello che si esercita attraverso le pubblicità, il junk food e più in generale attraverso il predominio economico, c’è la superficialità dell’approccio radical chic che accoglie le altre culture con poca consapevolezza e soprattutto come forma di esotismo (lato in parte personificato dalla fidanzata americana del protagonista, con il volto di Kate Hudson), ma soprattutto c’è la proposta di un parallelismo non troppo esplorato, ed effettivamente un po’ azzardato, tra il fondamentalismo islamico e il fondamentalismo del modello capitalistico statunitense, entrambi ritenuti colpevoli di un “semplificazionismo” in cui si dimenticano le singole persone e la loro umanità.

L’assunto, tuttavia, non viene sviluppato in maniera troppo convincente, né dal punto di vista narrativo né estetico: viene enunciato frettolosamente alla fine della storia, mentre il resto del film si concentra soprattutto sulla dolorosa parabola di Changez, colto di sorpresa dal rivolgimento culturale provocato dall’11 settembre e avviato così verso la riscoperta dei propri valori pachistani e delle proprie origini, nonché verso un odio malamente sopito verso l’arroganza americana. Ma il tono è spesso retorico, tendente al buonismo, è ridondante nell’utilizzo di elementi etnici “di colore”, che paradossalmente ci riportano alla superficialità di cui sopra. The Reluctant Fundamentalist rimane comunque un lavoro tanto interessante quanto apprezzabile, nel suo impegno su una pluralità di fronti molto caldi. Ma proprio perché appesantito da intenti così immensi, il film non può che apparire piccolo, e in particolare troppo piccolo per le sue premesse.

Acquistato per la distribuzione in Italia da Eagle Pictures, The Reluctant Fundamentalist arriverà nelle nostre sale nel 2013.

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