Se c’è un merito che non si può non riconoscere a Luigi Lo Cascio è di esordire alla regia con un progetto ambizioso. La città ideale, presentato alla 69^ Mostra del Cinema di Venezia nell’ambito della Settimana della critica, anziché chiudersi nell’autobiografismo o nei drammi dell’intimo cerca la via del grottesco e della satira con pretese allegoriche, muovendosi tra le chiusure kafkiane e le aperture del cinema di Elio Petri.
Il film racconta la strana vicenda di Michele Grassadonia, ecologista sul filo del fanatismo che ha scelto Siena come città ideale per attuare una vita senza luce elettrica né acqua corrente. Un giorno però viene coinvolto in uno strano incidente automobilistico che lo porta a scontrarsi con una realtà tutt’altro ideale che ha le fattezze di un incubo. Scritto e interpretato dallo stesso Lo Cascio, La città ideale è un dramma tinto di mistero che dietro le apparenze da giallo civile, con qualche eco di Camilleri, cela un animo più esistenziale e acido.
E’ innanzitutto un film di luoghi: dal titolo che segna l’ambientazione senese trasfigurata dal fondamentalismo del protagonista, fino alla professione di architetto, dalle case perfette o disordinatissime alle stanze e gli uffici in cui si rincorrono le angoscie di Michele, La città ideale racconta la lotta di un uomo per costruirsi la propria identità a partire dai posti in cui vive, scontrandosi però con l’assurdità del reale che non può accettare nessuna forma di integralismo. Lo Cascio racconta la disumanità dei meccanismi del nostro mondo partendo dalla disumanizzazione del suo protagonista, cerca di entrare col racconto e le atmosfere nella testa dello spettatore, ma è proprio qui che s’incarta e s’involve.
Se i tempi rarefatti dicono di una bella coerenza stilistica, i dialoghi non sempre precisi, i cambi di registro insicuri e la perdita di solidità mostrano un regista a cui ancora manca il polso per gestire il portato delle sue ambizioni, dei suoi riferimenti. Tanto di cappello però a un bravissimo attore a cui non mancano le idee d’autore e che sa portare la sua sensibilità interpretativa anche al resto cast, in parte familiare, visto che i ruoli migliori li coprono la madre di Lo Cascio, Aida Burruano, e il di lei fratello Luigi Maria. Un tris che dà al film un sapore e un’alchimia all’apparenza estranei al contesto, eppure genuini e utili.
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