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Venezia 69: Gli equilibristi, la recensione in anteprima

Pubblicato il 31 agosto 2012 di emanuele.r

La crisi globale ai tempi della new economy ha prodotto una nuova e acuta forma di povertà, la separazione e il divorzio. Lo racconta Ivano De Matteo nel suo terzo film, Gli equilibristi, che apre la sezione Orizzonti in concorso della 69esima Mostra del Cinema di Venezia con un dramma che, partendo da un tema affine a quello di Posti in piedi in paradiso di Verdone, riesce ad affondare il coltello in uno dei nodi più oscuri della contemporaneità.

Protagonista è Giulio, impiegato comunale, marito e padre la cui vita va a rotoli dopo la separazione dalla moglie a causa di una scappatella. Una discesa negli inferi che procede inesorabile non solo per la solitudine che gli si para innanzi, ma soprattutto perché si ritrova senza una casa e senza il tenore economico a cui era abituato, fino a una durissima ricerca del proprio posto in un mondo che non si può più permettere. Scritto dal regista con la compagna Valentina Ferlan, Gli equilibristi è un dramma contemporaneo, che partendo come tipica commedia all’italiana di sapore mucciniano, spiazza lo spettatore nella sua parabola.

Nella descrizione di una situazione familiare ed economica perfettamente media, il film fin da subito cerca il tono dell’universalità in cui gli effetti della crisi colpiscono chiunque e ovunque, tratteggiando una lotta quotidiana e disperata nonostante la “normalità”, contro la povertà che striscia come una malattia, che colpisce e non lascia scampo degenerando se non limitatissime soluzioni, che diventa lotta per la dignità (e contro l’orgoglio) più che per la sopravvivenza. De Matteo architetta un avvio che fa storcere il naso nel ricalcare gli stereotipi di un certo cinema nostrano, fatto di famiglie depresse, musiche desolate e questioni di corna, ma poi la combustione lenta del suo racconto porta lo spettatore in fondo con Giulio e allora fa male.

De Matteo si adagia un po’ troppo dentro certi schemi, come emerge anche dal finale in cui le forzature di script gli fanno calcare la mano, ma ha tocco e sensibilità in abbondanza e lo si vede dalla sua interazione con gli attori: la giovane ed espressiva Rosabell Laurenti Sellers, la misurata Barbora Bobulova e un bravissimo Valerio Mastandrea che supera con grazia, convinzione ed empatia un film costruito quasi tutto sulle sue spalle. Lascia perplessi la collocazione in Orizzonti, sezione nata per la ricerca e lo sperimentazione, preferita a una vetrina “istituzionale” e forse più consona come il concorso, ma è un dubbio di lana caprina che riguarda la programmazione del festival e non toglie nulla ai meriti del film.

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