E’ arrivato al finale Awake, dopo 13 episodi. Ed è arrivata anche la sua chiusura da parte di NBC, probabilmente non solo per la carenza di ascolti, quanto anche per la sua natura di midseason auto-conclusivo. Nonostante il fatto positivo che la serie di Kyle Killen abbia una chiusura, però non possiamo sentirci soddisfatti.
In Turtles All the Way Down, il detective Britten è a un passo da scoprire cosa c’è dietro la cospirazione che ha portato alla morte la sua famiglia e creato la spartizione del mondo in due realtà: storie di droga rubata e poliziotti corrotti che lo coinvolgerà in prima persona. Ma la verità, come si suol dire, è dentro di lui.
Scritto da Killen con Leonard Chang e Noelle Valdivia e diretto da Miguel Sapochnik, il finale si trova in quella condizione immancabile quando fai partire un racconto da un’idea bellissima e misteriosa. Che a un certo devi svelarla, o al limite decidere di non farlo, con tutto ciò che comporta in termini di odio degli spettatori e del network stesso. Gli autori scelgono di svelarlo e devono concentrare in 43 minuti una serie di salti mortali e deus ex-machina anche visivi inusuali.
Come le due realtà, quella rossa con la moglie e quella verde con la figlia (sentite anche voi echi di Fringe?), anche il racconto si divide in due rami d’interesse: da un lato il poliziesco, con Michael che sta arrivando sempre più vicino al vertice del complotto rappresentato dal suo capo, il capitano Harper, ma che si arena perché lei riesce a occultare prove e uccidere testimoni e a far incarcerare Britten quando lui cerca di ammazzarla; dall’altro quello metafisico, che messo da parte per buona parte dell’episodio, spunta quando Michael è in carcere. Parla al telefono con sé stesso ed entra in un gioco onirico lynchiano di seconda mano (c’è Vega vestito da pinguino) in cui vede la prova incriminante, torna nella realtà da poliziotta semplicemente aprendo una porta e fa arrestare Harper.
Come se non bastasse questa apoteosi dell’escamotage, della scorciatoia, della scelta facile, Killen e soci aggravano la loro posizione nel sottofinale: alla domanda “come verranno spiegate le due realtà, la loro creazione?”, la risposta è qualcosa di simile al non rispondere. Basta che Michael si svegli, torni in cucina e veda – in una fotografia che mescola le tonalità delle due realtà – sia la moglie che il figlio. Quindi quelle due realtà sono state solo fantasie, quindi nessuno è mai morto, quindi forse mai nulla è successo? L’unico dato certo è che gli autori (non) se la sono cavato prendendo in giro lo spettatore annullando tutto o peggio, rendendo inutili tutto ciò a cui ci siamo appassionati per 3 mesi.
Un brutto passo falso, rispetto al quale anche la farsa della conclusione di Life on Mars US diventa più degna, e che fa dispiacere non solo per l’idea di una serie che non ha mai saputo dove andare e cosa dire, ma anche per il bel cast capitanato dall’ottimo Jason Isaacs e pieno di caratteristi e attori di contorno che hanno sempre dimostrato un certo talento.
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