La prima stagione di The Big C, la dramedy di Showtime trasmessa in Italia da FoxLife, raccontava la vicenda di una donna che si trova all’improvviso ad affrontare un cancro; la seconda – partita da qualche giorno sul canale satellitare e in onda ogni lunedì – vede invece all’orizzonte una nuova battaglia e soprattutto una differente situazione familiare.
Cathy infatti vuole assolutamente vedere un altro dottore, perché i due cicli di terapia non sono andati a buon fine, causando problemi nel suo ambiguo rapporto col dottor Mauer; e mentre si occupa del cane della defunta vicina, assieme col marito deve affrontare il modo del figlio di reagire alla notizia.
Scritta dalla creatrice Darlene Hunt e diretta da Michael Engler, la première di questo secondo ciclo di episodi è intelligente nel cambiare lo scenario familiare e corale in cui ambientare il racconto, ma anche così ingenuo da mostrare tutti i limiti e i difetti della serie stessa.
Aperto da una brutta sequenza onirica, L’attesa fa compiere infatti a The Big C un importante passo in avanti: se infatti la prima annata narrava di una donna che deve fare i conti prima con sé stessa e poi con la malattia, coi parenti e gli amici come orecchie a cui nascondere la verità, questa seconda invece si apre in pratica con tutti che sanno del cancro di Cathy, per ultimi il fratello e la sua amante. Così che la donna, più che con la malattia e coi dottori – quello con cui si è baciata e quello che tampina per un secondo parere – deve affrontare i colpi di testa di chi le sta vicina, il figlio un po’ svanito, il fratello maniaco-depressivo.
Come si diceva però, a fronte di un contesto che pare curioso e che di sicuro può dire qualcosa di intelligente nel corso della stagione, l’episodio mette in evidenza tutti i difetti della stagione: la visione della vecchia vicina di casa morta da poco è un banalissimo espediente psicologista e diventa anche una sterile metafora che fa il paio col cane che sembra morto, il filo conduttore del rapporto tra madre e figlio sono le scoregge (sic) e Laura Linney, di solito bravissima e misurata, non può fare a meno di lasciarsi andare in a solo vezzosi.
E’ proprio la bravura della sua principale interprete (vincitrice del Globe) il suo principale limite, che rischia di relegare The Big C a una serie su misura. Gli autori riescono a evitarlo grazie al resto del cast, che non si può prendere sotto gamba (Oliver Platt e Cynthia Nixon tra gli altri), e non mancano belle scene come l’acquisto della marijuana e belle battute (“Se mai mi credessi morta, per favore, chiedi una seconda opinione”), ma non riescono nemmeno a dare il giusto tono e il giusto scatto a una serie che con l’intenzione di volersi emancipare dal modello Showtime finisce per simboleggiarlo.
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