Tantissimi dottori riempiono gli schermi televisivi, spesso con successo. Pochi gli psicologi e psichiatri. All’infuori del bellissimo In Treatment di HBO (serie comunque del tutto peculiare come modalità produttive e di trasmissione), è raro vedere uno strizzacervelli al centro di una serie televisiva. Tra questi pochi casi c’è Terapia d’urto (in originale, Necessary Roughness), la nuova serie del lunedì sera di FoxLife, creata dal duo Elizabeth Kruger e Craig Shapiro e interpretata da Callie Thorne (Rescue Me) al primo ruolo da protagonista e subito nominata al Golden Globe.
La serie racconta le storie della dottoressa Dani Santino, terapeuta sui generis esperta di ipno-terapia, che dopo il divorzio dal marito si riprende la sua vita con un vice-allenatore di football. Il quale la introduce nella sua squadra, nella quale il giocatore di punta ha dei problemi che gli impediscono di giocare al meglio. Riuscirà la dottoressa a “curare” il miliardario paziente?
Questa la trama del pilot (Quando il gioco si fa duro) di 90′ e la cura del giocatore farà da filo conduttore ai 13 episodi della prima stagione (la rete via cavo USA farà partire la a giugno) nei quali la dottoressa curerà sportivi e personaggi contigui nel tentativi di svelare un mondo lussuoso, ma non per questo meno problematica. Il tutto sotto forma di un drama molto leggero, dalle non poche inflessioni ironiche e dalle costanti venature sentimentali.
Quello che dovrebbe essere il principio generatore della serie è nella scoperta dei problemi psicologici, spesso incomprensibili alle persone comuni, dei divi dello sport e della scoperta del mondo che gira attorno a loro, frivolo certo, ma foriero di lati oscuri e difficoltà inaspettate. E proprio per questo la serie si configura come un un classico “procedurale” a sfondo psichiatrico, in cui i metodi della dottoressa Santino indagano il mondo del football, della NASCAR, del golf, delle news eccetera.
Quello che però rimane evidente agli occhi dello spettatore sia come in realtà la serie navighi più facilmente nello show a tinte rosa pronto per le 40enni, con le storie di tradimento, divorzio e rimorchio che dalla comicità di Cougar Town pare spostarsi di più alle spente commedie hollywoodiane con protagoniste dive un po’ attempate (ci perdonino Uma Thurman o Michelle Pfeiffer): le dinamiche sono sempre quelle, e passano ovviamente per il belloccio palestrato con circa 10 anni di meno, i ritmi e i toni non cambiano da quelle di un normalissimo prodotto mainstream, con solo meno lacrime delle serie di Shonda Rhimes.
Una serie semplice semplice, dotata anche di una sua efficacia di scrittura, ma che pare non avere altro interesse se non quello del suo contesto: peccato che la regia e gli autori non cerchino mai di andare fino in fondo, si accontentano della brava Thorne e di qualche buffo scambio di battute. Ma di vero interesse si fa fatica a parlare.
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