Con l’uscita nelle nostre sale di Romanzo di una strage e di Diaz, si era parlato di una “rinascita del cinema civile italiano” e il suo nome era stato spesso citato, insieme a quello di Elio Petri, come il principale maestro di questa corrente. Stiamo parlando di Francesco Rosi, regista classe 1922, autore di film rigorosi e di denuncia sociale, che quest’anno riceverà alla 69. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il Leone d’oro alla carriera.
Così ha motivato la scelta il nuovo Direttore della Mostra di Venezia Alberto Barbera che è succeduto a Marco Müller:
«Con una lunga benché non troppo prolifica carriera, Rosi ha lasciato un segno indelebile nella storia del cinema italiano del dopoguerra. La sua opera ha influenzato generazioni di cineasti in tutto il mondo per il metodo, lo stile, il rigore morale e la capacità di fare spettacolo su temi sociali di stringente attualità. Ragione per la quale è stato ripetutamente accostato al Neorealismo dell’immediato dopoguerra e indicato come il padre nobile di quel filone di cinema impegnato che segnò in particolare gli anni Sessanta e Settanta della nostra produzione nazionale».
Tra le opere più famose di Francesco Rosi ricordiamo Salvatore Giuliano (Orso d’argento a Berlino nel 1961), Le mani sulla città (Leone d’oro al Festival di Venezia nel 1963), Il caso Mattei (Palma d’oro a Cannes nel 1972) e Cristo si è fermato a Eboli (1979, girato a Matera con Gian Maria Volonté). L’ultima prova registica di Rosi risale al 1997 con il film La tregua tratto dall’omonimo romanzo di Primo Levi con protagonista John Turturro.
Il premio sarà consegnato venerdì 31 agosto in occasione della proiezione de Il caso Mattei nella versione restaurata grazie alla Film Foundation di Martin Scorsese con il sostegno di Gucci.
Fonte: Ansa