Una volta, in quella tv gloriosa che ha formato l’immaginario italiano, Tino Buazzelli aveva incantato il paese con uno sceneggiato giallo dal titolo Nero Wolfe. Lo stesso personaggio, creato nel ’34 dallo scrittore Rex Stout, torna in questi giorni su Rai1 per una miniserie eponima di 8 puntate in cui il ruolo del paffuto detective buongustaio tocca a Francesco Pannofino, divenuto celebre come René Ferretti in Boris, affiancato qui da un altro degli attori della sitcom Fox, Pietro Sermonti.
Il plot è degno del più classico dei gialli: Wolfe e il suo assistente Archie Goodwin giungono a Roma dopo disguidi dell’investigatore col capo dell’FBI. Qui, come al solito, aiuteranno la polizia locale a risolvere alcuni delitti impossibili: il primo episodio, per esempio, dal titolo La traccia del serpente (dal primo romanzo dedicato al personaggio) vede il nostro eroe indagare sulla morte apparentemente accidentale di un professore, morto durante una partita di golf.
Scritta da Piero Bodrato, Grazia Giardiello, Roberto Jannone e Alessandro Sermoneta e diretta da Riccardo Donna attenendosi fedelmente alle storie di Stout, la fiction ha il duro compito di sostituire nella serata del giovedì il successo del Giovane Montalbano: stando agli ascolti non c’è riuscito del tutto – più o meno la metà – ma il prodotto non è tutto da buttare.
Anche perché, ovviamente, essendo il primo episodio tratto dal primo libro si premura soprattutto di presentarci i personaggi: fin dal prologo, che mette in mostra l’abilità deduttiva di Wolfe, a essere centrale è la figura del detective, il suo amore per il buon cibo e la ricerca del giusto chef (lo trova in Nanni, interpretato da Andy Luotto), la passione per le piante, soprattutto le orchidee, l’idiosincrasia per la gente, le parole, il rumore che lo fanno una sorta di padre di Monk. E ovviamente il talento investigativo che lo ha reso celebre.
Il tutto in un prodotto leggero, piacevole, senza infamia né lode che non venga dai classici letterari. E’ curioso che dopo il poliziotto umanista, psicologo e sociale incarnato da Montalbano, l’ammiraglia delle reti Rai mandi in onda il ritorno del giallo classico, quasi antico, ludico, di meccanismi, complicati intrighi, tanti sospetti e un solo colpevole, più semplice per profondità e messinscena quanto più intricato. Resta qualche dubbio, per esempio sulla figura quasi minuta di Wolfe rispetto all’enorme stazza con cui lo si dipinge. E poi, perché lui e Goodwin parlano un perfetto italiano dalle sfumature capitoline? Non lasciano dubbi invece la professionalità sorniona di Pannofino e la simpatia di Sermonti: forse però, per appassionare fino in fondo il pubblico italiano serve qualcosa di più, almeno se ci si è abituati al tocco di Camilleri.
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