Continua il nostro viaggio alla scoperta di quel cinema a base di demoni ed esorcismi, che ci accompagnerà fino all’uscita de L’Altra Faccia del Diavolo (The Devil Inside), l’horror mockumentary diretto da William Brent Bell, che farà il suo ingresso nelle sale italiane il 16 marzo 2012. Dopo un doveroso primo post dedicato a L’Esorcista (che trovate qui) è arrivato il momento di parlare di una pellicola diretta da uno dei più importanti e al tempo stesso sottovalutati registi del cinema (non solo) di genere italiano: Mario Bava.
Nella carriera di ogni regista c’è sempre un film cosiddetto “maledetto”. Il riferimento non è certo alle disgrazie che hanno coinvolto i membri del cast durante (o dopo) la sua lavorazione, ma alla pellicola stessa, la cui genesi è stata il più delle volte travagliata e ha incontrato l’opposizione di produttori troppo invadenti. Ne sa qualcosa Mario Bava, regista tra i più grandi che il panorama cinematografico italiano ha saputo conoscere, eppure al tempo stesso così sottovalutato da critica e pubblico per tanto (troppo) tempo.
All’interno della sua filmografia un posto speciale lo occupa sicuramente Lisa e il Diavolo, prima di tutto perché ci troviamo di fronte ad un titolo che denota una gran classe (forse leggermente inferiore al resto dei lungometraggi da lui diretti); in secondo luogo perché si tratta di una pellicola il cui destino non è stato certo dei più felici.
Tutto è cominciato nel 1972, anno in cui è stata presentata al Festival di Cannes. La fredda accoglienza da parte di critica è pubblico preoccupò non poco il produttore Alfred Leone, che, nel tentativo di recuperare(?) un sicuro flop propose al regista di alterare il contenuto della sua pellicola con degli inserti che strizzassero l’occhio ad uno dei più grandi successi commerciali del periodo: L’Esorcista.
Chi ha visto Lisa e il Diavolo sa bene quanto i due titoli siano diversi. Quella diretta da Mario Bava è un’opera che mescola in maniera perfetta il gusto per il gotico con l’onirico e che vede al suo centro la figura di una donna (interpretata da Elke Sommer), presa di mira da un Diavolo particolarmente giocherellone (magistralmente interpretato da Telly Savalas).
Nonostante la ferma opposizione del regista, che diede luogo ad un vero e proprio contenzioso con il produttore, questa nuova versione del film riuscì a vedere la luce qualche anno dopo, con un nuovo titolo, La casa dell’esorcismo, e una storia parzialmente alterata, all’interno della quale viene fatto credere gli avvenimenti siano solo il delirio di una donna posseduta dal demonio, mentre nel mondo reale un prete cerca in tutti i modi di liberare la sua anima.
“Cose che capitano” anche ai migliori dirà qualcuno. Resta il fatto che osservando le due opere ci si rende conto di quanto la manovra commerciale di Alfred Leone abbia snaturato l’essenza di una pellicola il cui principale pregio risiede proprio nella ricerca dell’irrazionalità, che vive di sogni e di tutte quelle perversioni che possono riguardare il tema dell’amore (prima fra tutte la necrofilia).
Lisa e il Diavolo rappresenta un po’ la summa di tutta la cinematografia “baviana”. Al suo interno si possono trovare temi e ossessioni ricorrenti e intuizioni a dir poco geniali. Come quella di mettere in bocca al diabolico Telly Savalas un lecca lecca. Lo stesso che, qualche anno più tardi, diventerà il tratto distintivo del suo Tenente Kojak. E se questo personaggio è diventato così famoso il merito è anche un po’ di Mario Bava.
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