Attenzione: il seguente articolo può contenere spoiler. Leggetelo a vostro rischio o se avete visto l’episodio.
Chiunque abbia un po’ studiato e analizzato le serie tv sa che il quinto episodio è molto importante perché, dopo aver catturato lo spettatore con un tipo di “formula” devi dargli qualcosa che vada oltre, specie in una serie di 13 episodi. E’ così anche per Alcatraz, la serie di Fox (trasmessa in Italia da Premium Crime) prodotta da J.J.Abrams che con l’episodio Guy Hastings comincia a fare qualche passo avanti rispetto alla struttura canonica.
Il personaggio del titolo, infatti, non è il solito detenuto che ritorna dal ’63, ma un secondino che ha un qualche rapporto con Tommy Madsen, nonno di Rebecca, e con Ray Archer, l’uomo che l’ha cresciuta. Cosa c’entrano i due con Guy? Su questa indagine, scritta da due dei creatori – Steven Lillien e Bryan Wynbrandt – e diretta da Charles Beeson, si struttura l’episodio migliore della stagione, proprio perché sa far progredire, anche se di molto poco, la storyline generale, seguendo il tipico metodo di Abrams.
Ovviamente oltre all’indagine, l’episodio ricostruisce ciò che nel 1960 successe tra Hastings e Archer, due secondini – uno il comandante, l’altro una recluta – alle prese col durissimo mondo della prigione più pericolosa del mondo. L’evento che scatenerà la reazione a catena è l’aggressione di Archer da parte di Tommy Madsen, un recluso: i due si conoscono? E perché, quasi 50 anni dopo, Hastings cerca proprio Archer? La risposta è semplice, ma per Rebecca ha l’effetto di una rivelazione: Ray è davvero lo zio, fratello di Tommy, e cambiò cognome per poter entrare nel corpo delle guardie carcerarie, arrivando a picchiarlo per recuperare il timore che la sua figura sembrava avere perso.
Ma sia Tommy che Hastings hanno evidentemente un ruolo centrale nella vicenda, il primo come – sembrerebbe – fuggitivo da qualcosa ancora non definito, il secondo come vittima di un complotto che gli ha fatto credere che la figlia fosse stata uccisa, forse da Tommy stesso. Il confronto tra i due ex-amici e colleghi si conclude con Hauser che porta il ritornato a vedere la figlia e i suoi nipoti; ma anche con la consapevolezza che la famiglia Madsen è al centro di tutto (e che Hauser sa più di quanto mostra a Rebecca) dato che anni prima aveva offerta un lavoro a Ray – che lo rifiutò – assumendo poi la nipote, e che Tommy nel finale appare nel bar di Ray, suggerendo un passato tormentato nel periodo tra la scomparsa e la riapparizione.
Come dicevamo, quindi, episodio discreto, girato con senso del ritmo e del suspense e piuttosto ben scritto, ma soprattutto capace di incuriosire gli spettatori che rischiano di annoiarsi col classico procedurale. Gli attori, visti anche i loro personaggi allo stato delle cose, non hanno molto spazio per darsi da fare, e come in altre occasioni il passato è più interessante del presente, anche a livello interpretativo. Ma Sam Neill, con la solo forza dell’ambiguo sguardo, ha la capacità di rimettere tutto in equilibrio. Voi cosa ne pensate dell’episodio? Commentatelo sotto il promo del prossimo e restate su Screenweek ed Episode39 per sapere tutto su Alcatraz.