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Quando il cinema italiano di genere era forte e sfornava registi che insegnavano nuove regole horror nel mondo, anche la tv ne approfittava: Rai 1 negli anni ’70 commissionò 4 mediometraggi a Dario Argento dal titolo La porta sul buio, mentre Lucio Fulci, Lamberto Bava e altri epigoni del filone collaborarono con Fininvest negli anni ’80. Oggi, Mediaset cerca di rispolverare quel tipo di operazione – ossia film per la tv senza filo conduttore che non sia la paura – con 6 passi nel giallo, serie antologica di tv movie realizzati da registi esperti e figli o nipoti d’arte come lo stesso Bava, il figlio Roy (parenti del maestro Mario Bava) ed Edoardo Margheriti, figlio di Antonio.
Primo film della serie si chiama Presagi, è diretto da Lamberto Bava e racconta di una ragazza dalle capacità medianiche (interpretata da Andrea Osvart) che ha incubi premonitori su un maniaco che rapisce e uccide ragazzine: non è facile crederle, ma l’ispettore Chase (Craig Bierko) decide di fare questo sforzo, cominciando a indagare sul fatto e a frequentare la bella sensitiva. Scritto da Stefano Piani e Fabrizio Lucherini, Presagi riprende evidentemente lo schema di Medium ma spostando l’ambientazione a Malta dà un tocco di esotismo che porta il film vicino ad alcune prove del cinema italiano degli anni ’70.
Girato in inglese per l’esportazione e poi doppiato maluccio dagli stessi interpreti, tranne ovviamente Bierko, il tv-movie è un tipico thriller paranormale, dalle ambizioni narrative vagamente argentiane, ma più puntato sul lato familiare, come si conviene a un prodotto di prima serata per Canale 5 (che trasmette la serie ogni mercoledì): Annalisa è una madre sola dopo la morte del marito, che gestisce un bar vicino al mare e cerca di aiutare una sua dipendente che subisce le violenze del fidanzato, mentre aiuta la polizia nella caccia al mostro. Forse un po’ troppe trame messe insieme, ma la sceneggiatura riesce a farle riconvertire in un equilibrio tra thriller e giallo classico, con l’assassino insospettabile ma vicino alla protagonista.
Il vero limite del prodotto è nella regia e nella messinscena: Bava, che dagli eccessi splatter degli esordi è virato – soprattutto per motivi di committenza tv – a una certa classicità (vedere il recente Ghost Son) resta blando, a tratti quasi bloccato, non goffo come il Dario Argento di Ti piace Hitchcock?, ma sicuramente lontano dalle esplosioni violente che fecero censurare la serie horror di Lucio Fulci. Rendendo così 6 passi nel giallo, o perlomeno questa puntata, poco più e non molto differente, dai molti thriller che Mediaset realizza ogni anno: un’occasione parzialmente sprecata.
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