Con Plan 9 From Outer Space, abbiamo visto cosa succede quando il low budget è maneggiato da un regista che, pur se simpatico, non aveva né arte né parte. Oggi, ammiriamo invece la gloria della fantascienza anni Cinquanta nella forma de Il mostro del pianeta perduto, film diretto da uno che invece il low budget lo sapeva far fruttare eccome: Roger Corman.
Il mostro del pianeta perduto è un film che proviene da un’epoca in cui l’olocausto nucleare era ancora la prospettiva più spaventosa, la più probabile “fine del mondo”. Corman, famoso perché girava i suoi film in pochi giorni, decise di toccare il tema nel suo terzo film, storia di un gruppo di sopravvissuti alla guerra atomica, asserragliati in una villa isolata in una zona brulla. Il gruppo fa di tutto per sopravvivere alla meglio, ma, come se non bastassero le radiazioni, arriva anche una misteriosa creatura a farli fuori uno dopo l’altro. Che cos’è il mostro? Potrebbe essere un uomo mutato dalle radiazioni?
La pellicola ha ovviamente i limiti del budget ridotto – ad esempio, un mostro che per gli standard attuali sfiora il ridicolo – ma ha dalla sua una regia sicura e un’ambizione che la eleva a qualcosa di più che un semplice b-movie da drive in. Non per niente Corman è considerato un grande del cinema popolare, capace di trasformare i limiti, di tempo e di soldi, in vantaggi. Vedendo Il mostro del pianeta perduto non si può fare a meno di pensare che abbia avuto una grande influenza anche su George Romero e La notte dei morti viventi, per quanto entrambi siano debitori del romanzo “Io sono leggenda” di Richard Matheson (pubblicato appena un anno prima del film di Corman).
A seguire, il confronto finale tra i sopravvissuti e il mostro, benedetto dalla pioggia che scende come un segno di speranza per il futuro.