La famiglia può essere un’ancora di salvezza o l’iceberg che ti fa affondare. Da questa medaglia a due facce parte Alexander Payne, il bravo regista di Sideways e A proposito di Schmidt, per realizzare il suo sesto film The Descendants, dramma malinconico e sorridente in odore di Oscar con cui raccontare in modo anomalo la morte.
Il protagonista è Matt King la cui vita è a un doppio punto di svolta: non solo la moglie in coma è ormai irrecuperabile tanto da doverle staccare la spina, ma le terre di cui è affidatario per conto della sua famiglia devono essere vendute al più presto. Comincia così un giro tra i suoi parenti e amici, per risolvere la questione d’affari, e quelli della moglie, per comunicare la triste notizia: ovviamente, le sorprese sono dietro l’angolo. Film variegato e di sottile raffinatezza, scritto da Payne con Nat Faxon e Jim Rash, a partire da un romanzo di Kaui Hart Hemmings, che racconta i legami e le catene che abbiamo con le persone che ci circondano.
Ambientato nella cornice delle Hawaii, ritratte come un luogo ancestrale più che come un paradiso terrestre, il film mette in scena il tema delle discendenza, dell’eredità di sangue ma non solo con cui dobbiamo fare i conti, di quelle radici sicure eppure opprimenti che ci tengono bloccati alla nostra casa, alla nostra gente, alla terra: non è questione di scegliere, non di partire o morire, ma semplicemente di affrontare le questione con la consapevolezza dei lati negativi della vita e delle persone e con dignità. Parte come una commedia dai tratti malinconici il film di Payne, restando in superficie, ma poi dopo poco più di mezz’ora trova il tocco giusto la notevole sensibilità – tratto distintivo del regista – con cui raccontare fragilità e forza, dubbi e certezze e verità tristi come quella del dolore.
Un film umanista come sempre il cinema di Payne , fatto di persone e personaggi, di trovate drammaturgiche che diventano specchi di riflessione, di viaggi che si tramutano in riflessioni: la sceneggiatura ha la cura e il respiro tipico del regista, sebbene conceda qualcosa di troppo alla risatina, ma la regia conferma la serietà dell’autore, la sua concretezza, la sua bravura nel toccare le emozioni senza strafare. E poi, potrebbe essere il film con cui George Clooney vince l’Oscar da protagonista per la prima volta, e se lo meriterebbe: il suo uomo mediocre, incerto, buffo e sconfitto che trova la forza di fare la cosa giusta gli permette di dare una prova perfetta. L’uscita in Italia è prevista a febbraio: andrete a vederlo? Intanto noi ve lo consigliamo, come vi consigliamo di continuarci a seguire su Screenweek coi film del Festival di Torino.