Il finale della prima stagione di Terra Nova, andato in onda all’inizio di questa settimana, aveva un compito fondamentale: prendere la serie prodotta da Spielberg e universalmente riconosciuta come flop dell’anno e portarla a un altro livello per rilanciare adeguatamente la seconda stagione nel 2012. Va detto a onore del vero che gli autori ci provano, alzano le ambizioni (non che ci volesse molto) seguendo l’interessante sviluppo degli ultimi episodi. Ma non ce la fa del tutto a ribaltare l’impianto.
L’undicesimo pellegrinaggio sta arrivando a Terra Nova, portando con sé la promessa della guerra: promessa mantenuta da un kamikaze che fa strada all’invasione. Risvegliatosi dall’esplosione, Jim si trova di fronte al nuovo mondo governato con violenza da Lucas e Mira che stanno preparando la possibilità di ritorno al 2149 e al saccheggio delle ricchezze; ma il comandante Taylor ha preparato una coraggiosa resistenza. Non a caso i due episodi, scritti da Brynn Malone, Barbara Marshall, Terry Matalas e Travis Fickett e diretti da Jon Cassar, s’intitolano Occupation e Resistance proprio come un dittico, fattore che dà al finale un impianto più cinematograficamente interessante.
La scelta infatti evita l’eccessiva frammentazione in molti rivoli e storie secondarie del tutto inutili (qualcuno ha detto Maddy?) e si concentra in modo più compatto sulla battaglia per la sopravvivenza dei coloni alle prese coi nuovi saccheggi, con l’odioso tentativo di rendere Terra Nova una terra arida in nome della Terra del futuro da ripopolare: l’unica soluzione possibile è quella di far esplodere Hope Plaza, rendendo impossibili i nuovi pellegrinaggi, ma anche per contro il collegamento con il 2149, tagliando per sempre i coloni dal collegamento con il loro tempo d’origine. Una scelta difficile ma necessaria: e questa ottica del sacrificio a fin di bene è solo uno dei grandi valori “patriottici” (per non dire militaristi) che la serie ha portato avanti per 13 episodi facendoli esplodere nel finale: il valore, l’onore e il coraggio che diventano toccanti se si tratta del sacrificio di Washington, stucchevoli con Zoe che abbraccia il triste Taylor, ripetitivi negli andirivieni di Skye pro o contro Lucas (alla fine ovviamente sceglierà il contro) o nella fuga di Lucas, che suggerisce peraltro che i cattivi vadano ammazzati per bene, non in modo frettoloso. E in nome del culto del capo, l’immancabile finale è con Taylor che riprende il potere guardando tutti dall’alto, mentre la famiglia Shannon è riunita e felice.
Se dal punto di vista dell’intrattenimento il doppio episodio può raggiungere la sufficienza, viene a galla più che mai il peso ideologico della serie, il credo reazionario che ne informa struttura e risvolti e rende anche narrativamente la serie un prodotto che pare datato, pieno di escamotage, trucchetti, deus ex machina per rendere tutto più facile agli autori e più convenzionale (se non soporifero) agli spettatori. E dal punto di vista spettacolare è imperdonabile la mancanza di una vera battaglia, visto che l’unica che c’è è glissata dallo svenimento di Jim: un po’ come accade a Tyrion in Game of Thrones, ma lì ha il senso di rimandare allo spettatore il gusto della battaglia che arriverà nei prossimi episodi, qui è fatto solo per risparmiare qualche dollaro e disorientare lo spettatore che a un tratto ha l’impressione che la dittatura dei Sixers sia solo un sogno. Non manca poi l’immancabile colpo di scena finale: vengono ritrovati i relitti di una polena del 18° secolo nei Calanchi. Come avranno fatto a trovarsi? E cosa significa: che ci sono altri abitanti da 400 anni? C’è da aspettare quasi un anno per sapere le risposte: voi continuerete a seguire Terra Nova? Comunque seguite Screenweek ed Episode39 per essere aggiornati.