A differenza di festival come Venezia o Roma, il festival di Torino non affolla la sua selezione ufficiale (ossia concorso e Festa mobile) di film italiani, assegnandogli magari delle sezioni collaterali; uno di quelli scelti per la Festa mobile-Figure nel paesaggio è anche il miglior film italiano visto al festival. Stiamo parlando di Sette opere di misericordia, esordio nel lungometraggio di Gianluca e Massimiliano De Serio, coppia di fratelli attivi da anni nel campo dei cortometraggi e della videoarte: ed è un esordio convincente.
Il film racconta la storia di Luminita, una clandestina che sta cercando tramite l’impiegato di un obitorio di ottenere un documento falso: per farlo deve rapire un bambino e usare la casa del vecchio Antonio come rifugio. Ma tra lei e l’uomo nascerà un rapporto diverso da quello tra vittima e carnefice. Scritto dai due fratelli, il film è un dramma cupo e austero su come la spiritualità laica e la compassione possano nascere anche nelle situazioni più estreme e impensabili.
Poco parlato e affidato soprattutto a immagini drammatiche e molto tese, il film si struttura lungo le opere di misericordia del titolo (dar da bere agli assetati, nutri gli affamati, visita gli infermi e via dicendo) per raccontare la scintilla umana e solidale che si innesta tra due disperati, due ultimi della società per vari motivi che non hanno nessun altro appiglio per andare avanti che aggrapparsi l’uno all’altro: dopo una prima parte introduttiva più lunga e faticosa del dovuto, il film dei De Serio si apre e sboccia quando tra i due comincia a stabilirsi un rapporto comunicativo, un reciproco soccorso, che trasfigura il realismo europeo della prima parte con una messinscena ieratica.
Certo, è un film impegnativo per il ritmo calibrato, per la grande compressione delle scene, per la mancanza di attimi leggeri, ma nella sceneggiatura si coglie una certa ironia nella rilettura dei cardini della cristianità e la regia sa cogliere, con le sue focali lunghe e i suoi fuori fuoco, l’intensità di un rapporto duro ed emozionante, che non ha paura dei danni della vecchiaia o di quelli della povertà. A rendere così vivo il film, ovviamente, c’è anche la prova dei due protagonisti, la rivelazione Olimpia Melinte e il grande Roberto Herlitzka, premiato a Torino con un premio speciale. Un consiglio agli amanti del cinema italiano di spessore: non perdetevelo. Oppure continuate a seguire il festival di Torino su Screenweek per altri consigli.