50/50, amicizia e malattia per Gordon-Levitt e Seth Rogen

Pubblicato il 02 dicembre 2011 di emanuele.r


Uno dei temi portanti del cinema americano recente, e lo abbiamo visto anche a questo 29° Torino Film Festival, è la malattia, probabilmente metafora inconsapevole dei tempi che corriamo, politicamente tristi e finanziariamente morti. Ovviamente il messaggio che esce da molti di questi questi film è la lotta e la tenacia, e non fa eccezione 50/50, terzo film di Jonathan Levine (Fa la cosa sbagliata), in concorso a Torino, che racconta la battaglia contro il cancro attraverso l’amicizia virile.
Quella tra Adam e Kyle, colleghi di lavoro ma anche amici quasi fratelli, il cui rapporto cambia quando il primo dei due scopre di avere una grave forma di tumore: senza la ragazza – che non regge alla pressione –, la famiglia che lo soffoca e l’indipendenza, Adam dovrà fare affidamento su Kyle e sulla giovane terapista Katherine. Scritto da Will Reiser, il film è una tipica dramedy – ossia commedia drammatica – sull’importanza delle persone per affrontare i momenti difficili.

Il film infatti, seppure con altri toni e altre ambizioni, ricalca l’andamento da bromance – vale a dire i film dove l’amicizia tra uomini sembra sfiorare l’amore o l’affetto paterno – tipico del cinema di Judd Apatow, come in Strafumati o Suxbad da lui prodotti: non a caso, l’invadente eppure premuroso Kyle è interpretato dal Seth Rogen di Molto incinta, con tutti il carico di comicità sboccata e velata misoginia che ne consegue. E questo porta a tratteggiare con poco vigore e ancor meno credibilità una stantia morale (La vita va vissuta ogni singolo attimo) che avrebbe bisogno di un tono diverso da quello pseudo-indie del film di Levine.
Che invece adotta mezzi non dissimili da Hollywood, dai personaggi sempre pronti a far sorridere alle musiche e le scelte di regie pronte per far scattare la lacrimuccia (ralenti e via dicendo), fino al trittico di riferimento della regia, musica canne e sesso, che pare il leit-motiv del giovane cinema made in USA ma che sembra più maniera che trasgressione. Poi il film ha anche le frecce al suo arco, come la qualità di certe battute (quella su Patrick Swayze per esempio), la nostalgia per la musica anni ’90, dai Pearl Jam a High and Dry dei Radiohead, e la cura del casting, con l’ottimo Joseph Gordon-Levitt di (500) Giorni insieme. Ma sembra un po’ poco per essere soddisfatti di un film d’intrattenimento fin troppo medio. E voi che ne dite? V’incuriosisce questo film? Continuate a seguire comunque il festiva di Torino con Screenweek.

Tag: