Da sempre nel cinema di Woody Allen l’Europa è vista come faro, come punto d’arrivo, un po’ per il background cinefilo e un po’ per l’accoglienza critica che i suoi film hanno nel vecchio continente, soprattutto in Francia (nel finale di Hollywood Ending, il suo film girato e montato da cieco viene accolto come capolavoro solo a Parigi). E proprio a Parigi come principale tappa di un viaggio, Woody si ferma per girare Midnight in Paris, il suo film più bello da molti anni a questa parte, addirittura migliore del pur bellissimo Match Point, presentato nella sezione Festa mobile-Figure nel paesaggio del 29° Torino Film Fest .
Midnight in Paris racconta di Gil, uno scrittore prestato al cinema che però è insoddisfatto tanto della carriera quanto della sua vita da promesso sposo della bella, ma un po’ algida Inez. Quando durante un soggiorno a Parigi, in cerca di ispirazione, Gil resta a spasso fin dopo la mezzanotte, scopre che la città si trasforma e torna quella degli anni ’20, della Belle Epoque, di Fitzgerald. Spunto fascinoso quanti altri mai che ricorda un po’ La rosa purpurea del Cairo, il film scritto dallo stesso Allen è una commedia romantica e onirica che racconta l’arte e la vita come fossero una formula magica.
Come in molte delle pellicole del grande Woody, il suo 43° lungometraggio mette in scena il bisogno dell’uomo, e soprattutto dell’artista, di un’ispirazione sincera che non sia semplicemente la spinta creativa, ma soprattutto la necessità di vivere bene, di amare, di conoscere quello che è il proprio luogo e il proprio tempo: è questo il cuore del film, la sua morale nel senso fiabesco del termine, ossia capire che è adesso che dobbiamo vivere non in un passato che è sempre migliore nella memoria che nella realtà. Allen racconta tutta la sorpresa e l’amore per un’epoca fatata e poi ne mette in scena i suoi limiti, le sue debolezze, che sono soprattutto quelle degli esseri umani: nonostante la vecchiaia, il regista non si auto-assolve e racconta i limiti di ognuno di noi come fossero i nostri pregi, con l’accettazione tipica della saggezza.
Ma più di ogni altra cosa, sa rendere la magia del racconto, dell’atmosfera, del dialogo, della regia, del cinema in una parola sola, con l’ispirazione e la leggerezza a sostituire la macchinosità di alcuni suoi film recenti: la sceneggiatura si fa veicolo di ricordi e non di opinioni, la messinscena è un gioco nella memoria ricco di sorprese e gli attori, a parte qualche concessione alle macchiette storiche (ma è memorabile il Dalì di Adrien Brody), sono l’essenza stessa del cinema secondo Woody, compagni di merende anche scomode piuttosto che insetti da analizzare, da Owen Wilson a Rachel McAdams, passando per l’incantevole Marion Cotillard, simbolo sensuale e inafferrabile della bellezza di Parigi. E dei suoi simboli forse vani. Se siete amanti di Allen correte a vederlo, commentate e continuate a seguire il festival di Torino su Screenweek.