Era uno dei film più attesi del concorso del VI Festival Internazionale del Film di Roma, e l’esordio alla regia dello scrittore e sceneggiatore Ivan Cotroneo non ha deluso le aspettative: La kryptonite nella borsa si è confermato un debutto ricco di registri diversi, di sfumature e anche di colori saturi, come ci si poteva attendere dall’ideatore di una delle serie televisive di maggior successo degli ultimi anni come Tutti pazzi per amore.
La storia è quella di un ragazzino di 9 anni nella Napoli dei primi anni ’70. Un mondo tradizionale ma attraversato da forti spinte al cambiamento: dagli hippie alle femministe radicali, passando per l’affermazione dell’omosessualità e la graduale emancipazione delle donne lavoratrici. Un contesto in cui il giovanissimo Peppino (Luigi Catani) ha qualche problema a raccapezzarsi, fosse solo perché all’improvviso sua madre (Valeria Golino) cade in depressione a causa del tradimento del marito (Luca Zingaretti) e lui viene affidato alle irresponsabilissime cure degli zii appena adolescenti (Cristina Capotondi e Libero De Rienzo), che passano il loro tempo tra droghe e raduni nudisti. L’unica guida a cui può affidarsi è suo cugino Gennaro, che si crede Superman e va sempre vestito con un’imbarazzante calzamaglia azzurra, ma sembra proprio avere il superpotere di infondergli fiducia e la capacità di sopportare la propria diversità.
Certo, la kryptonite e il Clark Kent partenopeo sono un punto di forza immediato per il film, ma Cotroneo non si limita a trasportare sul grande schermo gli elementi più ispirati del suo romanzo: riesce a condirli con una regia ricca di guizzi e immagini fotograficamente notevoli. Per non parlare della colonna sonora che, dalla versione di Dalida di These boots are made for walking e Quand’ero piccola di Mina, arriva fino alla meravigliosa Life on Mars per costruire un’evoluzione musicale adatta ad accompagnare il percorso del protagonista. La caratteristica più apprezzabile del film è però di sicuro quella di riuscire a creare un’atmosfera ben precisa ma ibrida, fatta di momenti ironici quanto drammatici, di romanticismo e malinconia, di sensazioni che riportano all’infanzia e altre incredibilmente adulte. Crotoneo dipinge insomma una realtà agrodolce, dove la disgregazione dei valori tradizionali e dei rapporti familiari, la voglia di fuga e la disillusione, riescono per qualche inspegabile motivo a convivere comunque con la speranza. E ci regala anche una Napoli mai così sentita e allo stesso tempo così immaginifica.