Ieri sera abbiamo visto un’altra delle pellicole in Concorso alla sesta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma. Si tratta di Babycall, thriller diretto dal regista norvegese Pål Sletaune giunto al suo quarto lungometraggio.
Per presentare la pellicola al Festival, oltre al regista e all’attore Kristoffer Joner (uno dei più importanti attori norvegesi), è oggi arrivata anche Noomi Rapace. L’attrice che interpretava Lisbeth Salander nella trilogia svedese di Uomini che Odiano le Donne è diventata in poco tempo una superstar internazionale e a breve la vedremo non solo Sherlock Holmes – Gioco di Ombre ma anche nell’atteso Prometheus, il probabile prequel di Alien diretto da Ridley Scott.
Babycall racconta la storia di Anna, una donna debole e disperata che si trasferisce insieme al figlio Anders di 8 anni in una nuova casa. Stanno fuggendo dall’ex-marito della donna, che ha praticato violenze su entrambi, e Anna appare drammaticamente segnata dall’abuso. Costantemente preoccupata per l’incolumità del figlio, la donna deciderà di comprare un babymonitor per per monitorarlo in ogni instante. Misteriosamente l’apparecchio inizia a trasmettere inquietanti voci e grida che si scoprirà provengono da un’altro strumento sulla stessa frequenza. La donna entrerà in uno stato di estrema ansia a causa di tutto quello che la circonda fino a non riuscire a distinguere più il reale da quello che non lo è.
Sletaune in conferenza stampa ha raccontato di come l’idea della pellicola gli sia venuta anni fa leggendo un articolo di giornale che parlava proprio di un caso di abuso svelato grazie all’interferenza di un babycall. Ha poi unito quel fatto reale ad alcuni suoi momenti di pura immaginazione e anni dopo è riuscito a sviluppare la pellicola. Secondo il regista Babycall tratta della percezione e di quanto il mondo sia diverso a seconda dei punti di vista, ed in effetti è proprio quanto ha cercato di far capire per tutta la pellicola (con risultati dubbi, come vi spiegherò nel mio commento in fondo al post). Non a caso il suo pittore preferito è Giorgio de Chirico, un’artista che secondo il regista è riuscito a rappresentare nelle sue opere la versione giusta del mondo e quella sbagliata allo stesso tempo.
Noomi Rapace ha parlato a lungo di quanto si sia impegnata per interpretare il ruolo di Anna. Non si è parlato direttamente di metodo Stanislavskij, ma ha cercato nei mesi della produzione di annullare completamente la distanza tra lei ed il suo personaggio. Pur essendo una persona molto atletica, per sei mesi ha smesso completamente di fare attività fisica e per cercare di raggiungere un grado di debolezza e fragilità credibile, proprio come la protagonista. Ha empatizzato così tanto che ha passato interi mesi ad avere incubi notturni, per non parlare di costanti dolori fisici completamente spariti dopo l’ultimo giorno di riprese.
L’attrice non se la sente di criticare il personaggio di Anna, ma la difende in quanto donna completamente sola e madre iperprotettiva: “A volte può capitare di perdere la strada” ha spiegato, e la maternità è un cambiamento radicale nella vita di ogni donna che ha conseguenze anche a lungo termine.
Non sono mancate domande rivolte all’attrice sulla sua “doppia” carriera: il suo percorso nel cinema indipendente scandinavo alternato a grandi blockbuster come i prossimi Sherlock Holmes e Prometheus. Secondo la Rapace non ci sono, o almeno non ha trovato particolari differenze lavorando in entrami i campi. Si è sorpresa lei stessa della grande libertà che ad Hollywood le hanno lasciato per sviluppare il suo personaggio e Sherlock Holmes è stata per lei un’esperienza magnifica proprio perché ha potuto collaborare con Guy Ritchie e Robert Downey Jr, non perché era il suo primo film per un grande studio.
Nonostante sia uno dei suoi primi ruoli “leggeri”, scordatevi di vederla in futuro anche in una commedia romantica. L’attrice ha confessato di non amare quel genere di ruoli e sceglierà sempre personaggi interessanti, misteriosi e complicati. Ma almeno in Sherlock Holmes la vedremo sorridere per una volta! (anche perché sembra proprio una donna molto solare, spontanea e sensibile)
Veniamo ora ad un commento personale sulla pellicola. Per 90 minuti il thriller è particolarmente intrigante ed angosciante. Noomi Rapace è perfetta nel ruolo e fornisce ancora una volta una prova molto convincente. Sparsi per il film ci sono alcuni frammenti davvero ottimi, come una scena onirica ambientata sulle sponde di un lago, le urla improvvise dal babymonitor e gli inseguimenti all’interno dell’anonimo palazzo, correlati da una splendida colonna sonora.
Il grosso problema è che gli ultimi 10 minuti rovinano completamente l’intera pellicola. Si percepiva durante la sua visione dove volesse andare a parare il regista (un’espediente narrativo usato decine di volte nel genere thriller-horror, non dirò nulla di più né faccio nomi) ma si sperava che almeno all’ultimo ci avrebbe sorpreso con un finale convincente che avrebbe permesso di sistemare tutti i pezzi del puzzle. Non solo questo non è stato possibile, e oltre metà della pellicola in seguito alla “rivelazione finale” crolla completamente. Più che chiederti cosa sia realmente accaduto, spingendoti a rivedere il film, ti senti semplicemente preso in giro ed irritato. Davvero un peccato perché bastava davvero pochissimo per trasformarlo in un ottimo e memorabile thriller da aggiungere ai classici del genere.
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