Dopo la delusione per Il mio domani di Marina Spada, che vi abbiamo raccontato ieri, è andata meglio per il secondo film italiano in concorso, Il paese delle spose infelici, esordio nel lungometraggio di Pippo Mezzapesa tratto dall’omonimo romanzo di Mario Desiati: un film che come molto cinema italiano degli ultimi anni è ambientato nel passato, ma sa raccontarlo con uno sguardo più fresco.
Ambientato nella provincia tarantina degli anni ’90, il film racconta la storia di quattro ragazzini che, tra un porno e una partita di pallone, scoprono il sesso femminile grazie ad Annalisa, una misteriosa ragazza conosciuta grazie a un volo dal campanile del paese: tra droga e promesse di gloria, la loro vita cambia come quella di ogni adolescenti. Dopo il successo di cortometraggi come L’altra metà o Come a Cassano (che con questo film ha molto da spartire), Mezzapesa scrive – assieme ad Antonella Gaeta e Antonio Leotti – una commedia drammatica che più che altro è un romanzo di formazione, un coming of age che ricorda da vicino, e finalmente in maniera credibile, Stand by Me di Reiner.
Il film si concentra soprattutto sulle figure di Veleno, ragazzo della classe media, un po’ insicuro ma per niente emarginato, e Zazà, il campione della squadra locale che però ha problemi col fratello mezzo criminale, che rappresentano i due opposti di una comunità che già 20 anni fa dimostra il proprio deterioramento culturale, mostrato attraverso il ricorso alla cattiva musica o alla cattiva tv che dominavano in quegli anni (tra Non è la Rai o la dance progressiva di Robert Miles); ma il vero cuore del racconto e del film è lo sguardo di Annalisa, uno di quegli angeli che arrivano, travolgono e spariscono che sono nei ricordi di ognuno di noi, e che rappresenta con uno sguardo, un gesto, una camminata, il mistero dell’essere adolescente. Attraverso questi tre personaggi, Mezzapesa racconta il piccolo mondo dei suoi ricordi (il regista ha appena 31 anni), ma cerca anche di raccontare in modo universale e profondo un’età, con il giusto mix di ironia e sentimento e soprattutto con una sincerità d’intenti notevole.
A dire il vero, la sceneggiatura fa molta fatica ad affrancarsi dal modello romanzesco – che è quello medio e mainstream degli ultimi 10 anni – e l’amarcord è ormai un sottogenere troppo abusato, però Mezzapesa ha grande sensibilità cinematografica (bellissima la scena del gol di Zazà al ralenti), sa usare i suoi collaboratori, come il bravissimo compositore Pasquale Catalano che spazia dalle sonate alla new wave, e scopre un volto e un corpo come quello incantevole di Aylin Prandi, sorta di piccola Valeria Golino di cui non si riesce a non innamorarsi. E anche il talent scouting è un segno di talento registico.
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