Un fuoco che nasce e contiuna a bruciare, ghiacciai antartici, ovuli fecondati, pianeti, dinosauri, grotte, onde, natura incontaminata, lava, nuvole…le immagini sono straordinarie, la macchina da presa sempre in movimento. Il titolo sacralizza il significato del film, The Tree of Life, come nasciamo, come viviamo, la morte, ciò che rimane da noi e dove finiscono le nostre anime. Davanti un argomento così alto non è necessario rispettare la cronologia degli eventi, ciò che conta è arrivare alla riflessione finale.
Malick sceglie il particolare per parlare dell’universale. Introduce e finisce con straordinarie immagini (per risoluzione, colori e soggetti) documentaristiche, ma nel mezzo ci racconta la storia di una famiglia degli anni ’50. Papà, mamma, tre figli. Uno di questi è appena morto, era in guerra. Quale dei tre figli era? Sbalzo temporale ed eccoci ai nostri giorni. Uno dei tre fratelli, è cresciuto, guarda i grattacieli e ripensa al passato, a quando era un bambino e al rapporto che aveva con il rigido, ma allo stesso tempo amorevole padre. I cicli della vita si rincorrono, basta uno sguardo all’infanzia di un ragazzino qualsiasi di una famiglia qualsiasi, almeno finché non viene colpita dalla tragedia (ma il post-tragedia lo si vede solo per pochi minuti), per provare a spiegare le esistenze di tutti noi. Ci ritroveremmo in un mondo “altro”, in cui errori e drammi verranno messi da parte, ci si stringerà l’un l’altro commossi semplicemente di essere lì.
L’aurea di grandezza che regna sul nome di Malick probabilmente pesa prima di tutto sullo stesso regista che ormai sembra attratto solo da film che riflettano su temi di ampissimo respiro. E’ ambizioso, e non lo si può accusare di questo, chi non lo è non rischierà mai di realizzare un capolavoro, ma il modo in cui cerca di mettere in parallelo la bellezza dei suoi fotogrammi e movimenti di macchina (sempre in profondità, ricchi, una sorta di danza) con trame oltremodo semplici, incapaci di andare in profondità e prendere per mano lo spettatore facendolo vivere assieme e dentro i suoi personaggi, finisce con lo svalutare il lavoro complessivo. The Tree of Life è senza dubbio una pellicola metafisica, di quelle di cui non si deve analizzare i dettagli del racconto, ma il peso dei granelli di sabbia che alla fine rimangono sullo stomaco, ma basta questa prospettiva per giustificare ogni tipo di montaggio (alcuni piuttosto malriusciti come quello della morte del misterioso ragazzino in acqua)?
Sui titoli di coda della proiezione per la stampa a Cannes in pochi hanno applaudito, qualcuno ha fischiato, molti sono rimasti sostanzialmente storditi o interdetti. Impossibile dire brutto, in caso pretenzioso, ma è altrettanto raro trovare qualcuno che possa dirsi conquistato da un susseguirsi di sequenze troppo slegate tra loro per entrare nei cuori.
Parlando del cast: Brad Pitt e Jessica Chastain fanno il loro lavoro, ma Malick non gli da la possibilità di sfornare eventuali grandi interpretazioni, probabilmente troppo concentrato a realizzare un film più per sé stesso che per il pubblico (o per Pitt stesso, che è anche produttore della pellicola ). Sean Penn ha un ruolo di semplice presenza, importante concettualmente, ma piccolissimo e senza battute, si gioca solo di sguardi. Quando si cerca di fare poesia, si deve avere il coraggio di prendere anche queste scelte. Malick bene o male ci prova. Almeno per questo vale la pena apprezzarlo.
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