Piccola, esile, carnagione color porcellana, grandi occhi azzurri, due labbra leggermente all’infuori che un filo di rossetto riesce a rendere più sexy che mai. Emily Browning sembra una vera e propria bambolina, ed è proprio sul contrasto tra il come appare e il disinibito personaggio che interpreta, Lucy, che Sleeping Beauty, film dell’esordiente Julia Leigh, prodotto dall’amica Jane Campion basa buona parte della sua drammaturgia.
Una studentessa universitaria è in cerca di qualsiasi soluzione pur di guadagnare di più. Lavora in ufficio facendo fotocopie e in un bar da cameriera, ma la mamma le chiede continuamente di usare la sua carta di credito, i suoi coinquilini stanno per cacciarla di casa ed il suo più caro amico vive recluso in un appartamento senza avere contatti con l’esterno e lei è l’unica pronta a portargli provviste, alchol e medicine. “La mia vagina non è un tempio”, afferma Lucy senza problemi, ed infatti, non si fa problemi ad accettare l’insolito lavoro di cameriera nuda durante speciali cene di anziani signori vogliosi di situazioni “particolari”. Non è tutto, ed è così che arriviamo al titolo, Sleeping Beauty, La bella addormentata. Alcuni di quegli uomini sono pronti a pagare, e bene, per dormire con lei. Nessuna penetrazione, solo dormirle accanto dopo che lei, coscientemente, avrà preso dei sonniferi. Se nella fiaba il risveglio era inteso come una metafora di una nuova curiosità sessuale della Bella Addormentata, qui ogni interruzione dai sogni è vista come un ulteriore passo verso l’autodistruzione di una giovane ragazza.
La perversione dell’uomo non ha limiti, e Julia Leigh ha il merito di mostrarla senza giudicare, prendendo solo atto della sua esistenza. Questo è l’unico aspetto positivo di un film altrimenti pieno di binari morti, accenni di storie non chiuse né chiare agli occhi dello spettatore. “Non mi piace spiegare i film” ha risposto la regista in conferenza stampa qui a Cannes a chi le chiedeva quale fosse il significato di alcune scelte narrative. Ok, i registi non sono tenuti a farlo, anzi è bene che normalmente non lo facciano, la loro voce dovrebbe essere il grande schermo, ma in questo caso, lasciarsi andare sarebbe stato un male minore rispetto alla presunzione di un lavoro unanimemente (su 20 persone circa con cui abbiamo parlato è stato un vero en plein di bocciature) trovato incomprensibile.
Per fortuna (del film) che c’è Emily Browning: non starà azzeccando tutti i film (Sucker Punch è stato un vero flop), ma appena cominceranno a girare alcune clip di questo film su internet, il suo nome diventerà sicuramente uno dei più ricercati sulla rete. In un’epoca di comunicazione mediatica virtuale, anche questo è un successo.
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